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[GDR Privato] Il lancio dei dadi

Amsterdam707
Il matrimonio

I preparativi del matrimonio erano arrivati al termine.
Ora, le persone si stavano spostando verso il luogo in cui sarebbero state celebrate le nozze più in vista del Ducato di Milano.

Carrozze affluivano verso la residenza dove avrebbero trovato accoglienza tutti gli invitati.

L’ala est era riservata alla sposa e ai suoi parenti e invitati. Un corteo festante di dame e damigelle continuava ad arrivare, e i servitori e i lacchè non sapevano più né come scaricare le carrozze dalla miriade di bagagli portati dalle graziose fanciulle, né soprattutto dove altro metterli…

L’ala ovest era destinata a lui, il condottiero, il soldato per antonomasia, e a tutti i suoi amici e conoscenti. Uomini d’arme, di scienza e di commercio scendevano dai cocchi e dai calessi nei loro ricchi abiti, nelle loro pratiche vesti e nelle loro scintillanti armature, tirate a lucido più che se si fosse trattato di una parata di fronte al Duca in persona.

La giornata ed il pomeriggio trascorsero così, con la frenesia tipica dei grandi eventi, e con il brusio che saliva, saliva e saliva sempre più, fino a raggiungere il suo apice all’ora della cena, tenuta rigorosamente separata tra l’ala est e l’ala ovest. Questo diede modo alla confusione di essere raddoppiata e di pervadere tutte le aree circostanti.

Finalmente, la decenza e la stanchezza consigliarono anche i più festanti tra gli invitati di accomodarsi verso i loro alloggiamenti, e la quiete scese pian piano, nell’attesa della festa del giorno dopo.

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La notte

La quiete della notte, i rumori degli animali notturni, la luce della luna calante, furono interrotti da movimenti furtivi

Come ombre nell’ombra, figure sinuose scivolarono invisibili per le strette viuzze di Milano, scegliendo apposta i vicoli più oscuri, maleodoranti e nascosti.

Corazze e armi erano state avvolte in stracci, per non rivelare la loro presenza con tintinnii inopportuni o inaspettati baluginii.

Le ombre si radunarono da quattro vie diverse intorno al Municipio e al Palazzo Ducale, e silenziose come pietre aspettarono il segnale convenuto.

Un sordo soffio di corno, proveniente da una conchiglia marina frutto di strani e lontani commerci, era quello che stavano aspettando.

Si scagliarono in avanti


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La presa del potere

Le sentinelle esterne furono sopraffatte presto al Municipio e al Castello. Ma mentre la lotta al municipio si limitò all’immobilizzazione di qualche armigero, soverchiato dal semplice numero, penetrare nel Castello e prenderne possesso fu molto più arduo.

Le guardie ducali, anche se poche, si dimostrarono un avversario ostico, esperto e determinato. Alla fine le ombre ne ebbero ragione, ma il sangue aveva bagnato più di un’arma.

I feriti di ambo le parti furono portati verso l’infermeria, mentre si procedeva ad una ricognizione del Castello e del Municipio per identificare e debellare eventuali ulteriori pericoli. Le poche grida di allarme e il cozzare dei combattimenti non aveva svegliato nessuno al di fuori dei due edifici.

Le ombre si occuparono allora di tutti gli ospiti del Castello e del Municipio: Duca, Consiglieri, Sindaco e Consiglieri municipali furono svegliati, disarmati e lasciati liberi. Agli Ambasciatori esteri fu garantita una scorta. Lo sguardo che scambiarono con tutti loro le ombre, in quei frangenti, fu più esplicativo delle parole. Lo stupore della situazione, montato dal rendersi conto pian piano che tutto era cambiato, li immobilizzò più delle catene. Per qualche ora, non fecero altro che chiedersi cosa fosse successo.

Al primo canto del gallo, prima ancora del sorgere dell'alba, fu chiaro che il potere, nel Ducato di Milano, era dei Porcelli Mannari!



Edit il blu in tutte le sue sfumature è proprio dei censori by Farfalla colorata
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L'annuncio


“Svegliati tu, forza. Suona le campane, suonale a distesa!”

Il garzone della chiesa aprì gli occhi senza capire il perché di quel brusco risveglio, poi la vista dell’uomo d’arme e del lungo pugnale alla sua cintura lo fece balzare in piedi e ubbidire all’ordine.

La popolazione di Milano si riversò in strada, sguardi stupiti e assonnati si chiedevano il perché di quel presto risveglio. Tutti confabulavano mentre si dirigevano in piazza.

Lì, il Castello, il Municipio e la Cattedrale si affacciavano e si guardavano, e le bandire sventolavano alla brezza ancora fredda di marzo.

Tutti ammutolirono di colpo.

Sotto la bandiera di Milano, la Spada e la Rosa Rossa incrociate sventolavano fiere e inusuali.

La grande finestra del Castello si aprì, e chi ne uscì non dovette nemmeno chiedere il silenzio alla piazza. Alle sue spalle un’ombra nera gli poggiò brevemente la mano sulla spalla. Il Portavoce iniziò:

“Popolo di Milano!
Noi siamo fortunati! Siamo fortunati perché siamo milanesi. Il Ducato è la nostra patria e tutti noi siamo qui nati e cresciuti. Il Ducato ci ha dato e ci dà prosperità, salute, possibilità di crescita. Nel Ducato noi siamo liberi e al sicuro, nel Ducato noi siamo ascoltati e rispettati.

Ma non è sempre così. Ci sono stati momenti, ci sono momenti, in cui gli agi e le comodità ci fanno perdere di vista i pericoli che si nascondono dietro l’angolo. Vicini a noi, vicini alle nostre case. Ci dimentichiamo che, spesso, lupi voraci non aspettano altro che di poter addentare le nostre carni. Che serpenti subdoli e striscianti si insinuano nelle pieghe della nostra vita per suscitare discordia, odio e rancore. Per metterci gli uni contro gli altri, per dividerci e poi approfittarne e sopraffarci.

Ebbene, da oggi in poi costoro non avranno più vita facile! Non avranno più libero accesso al nostro Ducato, alla nostra terra! Perché noi ci difenderemo, difenderemo i nostri cari, difenderemo le nostre case e per farlo siamo pronti a rischiare le nostre vite!

Via scacceremo chi ci vuole morti! Allontaneremo i pericoli, ricacceremo fin dentro le loro grotte quegli esseri abbietti che ci inseguono e che nell’ombra tramano contro di noi!

Non avranno più vita facile coloro i quali vogliono approfittarsi della larghezza e della magnanimità del Ducato di Milano! A costoro noi diciamo “Basta!”, e siamo pronti a tutto per salvaguardare il nostro onore, il vostro onore!

Cittadini del Ducato di Milano, compatrioti, insieme a noi non dovrete più temere né i nemici né la decadenza, con noi potrete camminare su strade lastricate di gloria e grandezza, con noi nuovi e più grandi obiettivi saranno perseguiti!

Unitevi a noi! Aiutateci in questa missione, per il bene del Ducato e di noi stessi, per il bene dei nostri figli, dei nostri cari, delle nostre case. Insieme saremo invincibili, sbarreremo le porte a chi vuole venderci al nemico, insieme ristabiliremo la grandezza del Ducato!

Cittadini di Milano! Con noi, contro i nostri nemici! Con noi, verso la grandezza! Con noi, verso la gloria!”

Il brusio, il vociare, riesplose non appena il Portavoce si fu fatto indietro e la grande vetrata fu richiusa dietro di lui.


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Gli araldi

Poco dopo la porta del Castello si aprì, e ne uscirono gli araldi che si dispersero per la città, pergamene in mano, faccia stravolta di chi ha ricevuto ordini precisi, molto precisi…

Un capannello di gente si formò intorno al muro della piazza del mercato, mentre l’araldo gridava:




“Noi, il Consiglio del Ducato di Milano,
proclamiamo legittimamente a tutto il popolo milanese la nostra piena e totale sovranità sul Ducato di Milano.

Noi, il Consiglio del Ducato di Milano,
proclamiamo legittimamente a tutto il popolo milanese la decadenza da ogni carica precedentemente ricoperta in seno al Consiglio stesso di: Tancredi, Dama_Propezia, Icemen, Reminder, Pierluigi68, Romualdo100, Baratro, Skioppo, Mutuuu, Polimnia, Cris88.

Noi, il Consiglio del Ducato di Milano,
proclamiamo a tutto il popolo milanese la continuazione immutata di tutte le attività economiche e commerciali come fino a ieri d’abitudine. Il nuovo Consiglio legittimamente sostituisce il precedente nelle rispettive competenze e in ogni operato.

Noi, il Consiglio del Ducato di Milano
Ordiniamo a tutti i Sindaci di impiegare la milizia cittadina ai limiti massimi possibili. Tutti i posti dovranno essere coperti. Ordiniamo altresì alle Compagnie Volontarie presenti nei vari municipi di procedere alla difesa del potere a ranghi compatti.
Ove i Sindaci non ottemperassero all’ordine di attivare la milizia, saranno passibili di Tradimento.
Ove le Compagnie Volontarie non ottemperassero, noi, il Consiglio del Ducato di Milano, ne ordiniamo lo scioglimento e il congedo con ignominia di tutti i membri, ed il Comandante ed il Vice Comandante saranno passibili di Tradimento.

Noi, il Consiglio del Ducato di Milano
Ordiniamo la chiusura delle frontiere del Ducato di Milano fino a nuovo ordine.
Gli stranieri non residenti in alcuna delle città del Ducato potranno rimanere nella città in cui si trovano. Qualora desiderino allontanarsene, hanno come unica possibilità quella di percorrere la strada più breve verso il confine della propria Madrepatria.
Chi volesse entrare nelle frontiere del Ducato di Milano, ne dovrà fare motivata richiesta al Prefetto, ed attenderne le decisioni.
Chiunque non rispetti questo ordine, sarà passibile di Disturbo all’ordine pubblico e sarà perseguibile dall’Esercito del Ducato senza ulteriore comunicazione.

Cittadini del Ducato di Milano, compatrioti, noi non siamo masnadieri, non siamo briganti, non siamo avventurieri prezzolati!
Il nostro scopo è il bene del Ducato di Milano, il benessere di ogni singolo cittadino. Vi invitiamo a vigilare sui nostri confini, sui vostri confini!
Che i municipi siano trasformati in fortezze imprendibili, che chiunque sappia che il Ducato di Milano non potrà essere attaccato in alcun modo. Che tutti sappiano che il potere è di nuovo nelle mani del Popolo di Milano!

Per la Grandezza e per la Gloria!”



Seguiva l’arzigogolo di firma di tutti i Consiglieri del Ducato, con i rispettivi Sigilli.

La folla si accalcava intorno agli araldi, e chi sapeva leggere raccontava agli altri il contenuto di quelle grida.


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La chiamata

Il Consiglio, e non poteva essere altrimenti, era ancora al lavoro. Gli uomini e le donne armati intorno al tavolo discutevano con ordine. Due valletti portavano via i piatti con le vivande consumate a metà.

“Allora, i posti sono stati assegnati, ognuno sa cosa deve fare, la popolazione è stata avvertita.”
Rivolto al Portavoce:
“Dobbiamo avvertire gli altri Ducati. Ci pensi tu?” Al breve cenno affermativo dell’uomo, si rilassò un attimo e riprese:
“Non ci rimane che una cosa da fare, forse la più importante. Mandate a chiamare Tancredi!”

Tancredi non arrivò subito. Fu fatto chiamare ed attivò al cospetto del Consiglio dagli acquartieramenti dell’Esercito.
Quando entrò si fermò sull’attenti subito dopo la grande porta della sala, la corazza scintillante, le insegne del suo grado e le armi al fianco.

Tutto il Consiglio si alzò in piedi, chi in prima fila e chi in disparte.
Il Duca lo guardava dinanzi a tutti, poi Braken gli si avvicinò.

“Tancredi, l’avevi detto che ci saremmo reincontrati. E io credo che siamo sempre dalla stessa parte.”

Si incamminarono insieme verso un angolo della Sala.

“Sai che non abbiamo fatto tutto questo per brama di potere, meno che mai per soldi o fama personale. Tu sai che teniamo al Ducato di Milano più che a noi stessi, e che la sua esistenza come campione dei ducati italiani era messa in forse da una serie di comportamenti che tu per primo non hai mai condiviso fino in fondo. Conosci tutti noi – e con un gesto ampio indicò i Consiglieri, a gruppetti ancora in piedi intorno al tavolo – e conosci la nostra specchiatura morale. Noi ci teniamo a questo Ducato, e ci teniamo a farlo tornare grande, con i fatti e non solo a parole.

Ora sei qui perché vogliamo, perché voglio chiederti di unirti a noi. Lo so che il momento non è semplice, ma come vedi la situazione è quasi riportata alla normalità e il resto sarà sistemato in pochi giorni. Ed è inutile nasconderti che se tu ti unissi a noi la grandezza di Milano risplenderebbe più in fretta…

Compi la tua scelta liberamente, ma guarda i nostri volti, e dimmi se vedi in noi qualcosa di diverso dalla fierezza, dall’integrità e dalla disponibilità al sacrificio – Tancredi scorse ognuno dei Consiglieri, e loro sostennero il suo sguardo, occhi negli occhi – e sai che queste cose noi le abbiamo sempre condivise.

Voi ora amico mio, che i tuoi pensieri possano raccogliersi in privato, e che tu possa fare ciò che sai essere giusto, vai, e torna presto per farci conoscere il tuo pensiero. Ti aspettiamo e ricorda, siamo dalla stessa parte…"

Senza aver proferito parola, ma con passo meno sicuro di quando era entrato, Tancredi uscì, da solo.

[GDR off] Ora può postare Tancredi, quando vorrà farlo [GDR on]
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Amsterdam707
Bene, credevo che "GDR chiuso" significasse che poteva postare solo l'autore e chi eventualmente scelto da lui...

Evidentemente mi sbagliavo.

Ma se non mi fossi sbagliato, chiedo cortesemente ai moderatori di splittare quanto non pertinente, quando ne avranno occasione.

Grazie
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Amsterdam707

Gli Ambasciatori

La mattinata era avanzata, l’ora era quella consueta per la convocazione su argomenti importanti.

Uno dopo l’altro vennero invitati e ricevuti tutti gli Ambasciatori degli altri Regni, Principati, Ducati e Repubbliche. A tutti vennero offerti un discreto rinfresco, una cordiale ospitalità, e soprattutto alcune fondamentali parole, spiegate a voce e vergate su spesse pergamene racchiuse in cartelle di cuoio rossastro, a testimonianza della loro importanza.




Agli Ambasciatori dei Regni, Principati, Ducati e Repubbliche.

Noi, il Consiglio del Ducato di Milano, desideriamo in questa sede proclamare e ribadire la nostra piena sovranità sulle nostre terre e sui nostri feudi, sulle nostre popolazioni e sui nostri confini.

Noi, il Consiglio del Ducato di Milano, desideriamo in questa sede confermare i trattati, i patti e le consuetudini che regolano i rapporti tra i rispettivi Stati, ed invitiamo quindi le Illustrissime Signorie Vostre a voler presentare i nostri intendimenti ai rispettivi Governi.

Saremo lieti di potervi ospitare nuovamente e discutere con voi ogni istanza che i vostri Governi riterranno di indagare.


Al di là dei sigilli e delle firme, gli ambasciatori ritirarono i documenti a ciascuno intestati, e facendo frusciare le ricche vesti uno dopo l’altro furono accompagnati alle rispettive carrozze.

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Amsterdam707

L'Esercito

Nel cortile del Castello gli acquartieramenti ribollivano. Non un soldato, che non fosse di guardia, si aggirava fuori dai propri alloggiamenti. I comandanti e i subalterni faticavano a mantenere l’ordine. Chissà come, qualcuno aveva sparso la voce che il Capitano Tancredi era stato scortato a Palazzo. Altri invece giuravano di averlo visto andare da solo a cavallo, dopo aver ricevuto un messaggero, verso l’Ala Ducale del Castello. Si favoleggiava di immensi eserciti alle porte della Capitale, c’era chi paventava orde di briganti pronte ad assaltare l’indomani. Ogni ora che passava aggiungeva parole a parole, e la montagna si ingigantiva. Le ipotesi si accalcavano, e nessuno sapeva niente di certo.

Niente di peggio dell’incertezza mina la fibra di un uomo, anche il più saldo e il più coraggioso possono cadere a causa della ignoranza della propria sorte.

Fu allora che le porte del cortile si aprirono e tre uomini a cavallo entrarono al trotto, si fermarono, e chi era alla testa si fermò, scese da cavallo e con voce sicura e squillante annunciò:

“Comandanti: Rapporto!”

La disciplina ebbe la meglio su tutto: le armi furono indossate, i drappelli formati, i ranghi serrati. In breve tempo la piazza d’armi presentò schierata la più temibile e disciplinata formazione che i Regni avessero da tempo conosciuto. I comandanti si volsero al centro del cortile, dove l’Araldo li aspettava evidentemente compiaciuto.

I comandanti si avvicinarono, consapevoli di essere tutti di grado superiore all’Araldo. Ma avevano ben visto uno degli uomini rimasti a cavallo in fondo al cortile, e l’avevano riconosciuto anche dal semplice portamento, oltre che dalla sua inconfondibile spada, sulla cui elsa risultava incisa una rosa rossa…

Dopo che ebbero presentato la forza, l’Araldo parlò:

“Soldati dell’Esercito di Milano! Sapete già cosa è successo. Siamo qui ora, davanti a voi, fratelli tra i fratelli, commilitoni tra i commilitoni, soldati tra i soldati.
Siamo qui con voi, siamo qui per voi. Siamo qui perché vi chiediamo una cosa che già sappiamo voi ci darete.
Me ve lo chiediamo lo stesso, perché ognuno e ciascuno di voi è importante! Siete importanti in tempo di pace come lo siete in tempo di guerra, quando l’acciaio, il sudore e il sangue ci affratellano, quando la spalla supporta la spalla, quando sappiamo che alla nostra destra il nostro amico ci proteggerà, a costo della sua vita!”

“Soldati dell’Esercito di Milano! Siamo qui per chiedere la vostra fiducia! Siamo qui per chiedervi di unirvi a noi! Noi siamo già uniti, siamo già tutti dalla stessa parte, siamo già tutti cittadini dello stesso Ducato! Ma capiremo se qualcuno di voi non fosse convinto, capiremo se qualcuno di voi volesse in questo momento riflettere bene. Lo capiamo, e siamo sicuri che la sua riflessione lo porterà verso la conclusione inevitabile che l’unico bene è rimanere nell’Esercito, rimanere fedeli al Ducato di Milano!”

“Soldati dell’Esercito di Milano! Conoscete quasi tutti noi, abbiamo combattuto insieme, e ancora lo faremo! Abbiamo sopportato critiche, disagi, ogni sorta di angherie, forti del nostro stato, forti del nostro essere Soldati! E se ci conoscete, saprete che ciò che ci guida non sono brame di potere, di denaro o qualche oscuro potere. Se ci conoscete, sapete bene che l’unica cosa che ci sta a cuore è il Ducato di Milano, il nostro Ducato! Quello che ci sta a cuore è la grandezza e la gloria per il Ducato di Milano!”

“Soldati dell’Esercito di Milano! Unitevi a noi! Per Milano! Per la grandezza e per la gloria!!”

Un ruggito si alzò dai ranghi dell’esercito.
Cento e cento voci risposero all’incitamento dell’araldo come fossero una.

E però non erano una. Ci furono alcuni che si guardavano intorno smarriti…


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{formica}
In base al regolamento sulla moderazione del GDR, articolo 4 ultimo comma e articolo 5, sono stati splittati i post di coloro che non rientrano nel gruppo privato scelto dall'autore di questo topic.

Gli utenti che lo desiderano possono continuare nel seguente topic.

http://forum.iregni.com/viewtopic.php?t=453728&sid=NVMUKAaniIeUt7gZaCIns45xW

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Il moderatore saggio
Tancredi
Tancredi tornò al Consiglio dopo qualche ora. Cupo in viso e pensieroso. Non avevano notato il suo arrivo silenzioso.
La sala dove fino a ieri aveva il suo ruolo detenuto da quasi un anno, ora era nella più assoluta frenesia. Facce molto conosciute che lavoravano su documenti, bolli o discutevano tra loro. Molti quelli inesperti che non avevano mai messo piede li dentro e visibilmente a disagio tra tante scartoffie.
Certo se la cavano meglio con le armi pensò.

Tancredi si avvicinò a Braken seduto sul suo scranno e circondato da un paio di "Consiglieri".

Ah Tancredi esordì Braken nel vederlo avvicinarsi allora hai deciso?
A quelle parole tutti si fermarono e un profondo silenzio si stagliò nella sala e gli occhi di tutti si puntarono su di lui.
Il "Capitano" li guardò negli occhi uno ad uno, squotendo debolmente la testa e poi mise una mano sulla spalla di Braken con gesto fraterno:

Amico mio... disse guardandolo negli occhi mostrando un debole sorriso fratelli miei... continuò allargando le braccia ma che avete fatto? Chiese ai presenti e la luce di speranza nei loro occhi si affievolì.
Vi rendete conto del gesto che avete compiuto? Il Popolo si è scelto questo Consiglio e questo Duca è stato il frutto delle votazioni. Che sia stato un buon Duca o un buon Consiglio... beh avrei molto da dire in merito e su questo vi appoggerei ma che diritto avevate voi di agire in questo modo?
Tancredi riprese fiato mentre li osservava scrutandoli nella loro fermezza.
Come militari siete stati tra i migliori. Avete sempre agito per il bene del Ducato e spesso per dei finti allarmi. Capisco la vostra delusione e magari il disprezzo verso alcune cariche ma avete decisamente esagerato... noi serviamo il popolo di Milano ed è lo stesso che ha votato e piazzato i Consiglieri dove stavano fino ad ieri. Loro erano i LEGITTIMI consiglieri... non voi!
Tancredi sospiro per la pesantezza di quella situazione che lo stava opprimendo... voleva fuggire il più lontano possibile... mai avrebbe pensato di doversi mettere contro ai propri soldati in un'occasione simile.
Non vi appoggerò... disse infine non è questo il modo di agire anche se infondo mi aspettavo qualcosa, una protesta in piena luce o una sorta di "ricatto" ma non una cosa di questo calibro.
Quindi fece per avviarsi verso l'uscita... un macigno sullo stomaco gli provocava un forte senso di nausea. L'Esercito non è con voi disse fermandosi ho lasciato libera scelta ai miei soldati di agire secondo loro coscienza da civili, se lo vogliono. Per quel che mi riguarda non prenderò ordini ne da Braken ne dal Duca deposto e nessuno degli uomini farà lo stesso. Agirò come meglio credo per mantenere il mio giuramento verso il Popolo per difenderlo da eventuali minacce esterne.

So che non farete alcun danno volontario, almeno più di quanto avete già fatto, al Ducato perchè vi conosco e farete il massimo per contenere i danni di questo atto. Non è vostro interesse arricchirvi ne derubare come semplici briganti.
Sarà il Popolo a giudicarvi e a contrastarvi se crede... non io.
Vado a fare il mio lavoro... credo che ora il Ducato sia in pericolo più che mai.

Quindi procedette verso l'uscita.
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Amsterdam707

La taverna

Primo Avventore
“… Sono dei maledetti. Maledetti! Tutti si fidavano di loro, e loro… zac… hanno tradito tutti. Traditori, sono dei traditori! Ecco cosa sono… bastardi.”

L’uomo era livido in volto, corpulento, ben vestito. Si trovava nella taverna municipale, aperta come tutte le sere. La stessa gente, forse, ma molto più riservata. Ognuno parlava solo con il proprio amico, e tante volte senza nemmeno confidarsi del tutto…

Secondo Avventore, vestiti più dimessi, ma dignitosi, dal bancone, a voce alta:
“Ma fammi il piacere, Tonio, io me la sto ridendo alla grande. Sono stati bravissimi eccezionali, bevo alla loro salute!”

Levò il boccale e bevve una lunga sorsata di birra, mentre molti sguardi sospettosi e alcuni sorrisi gli si rivolgevano addosso.

“Sono stati dei geni, e adesso a tutti i vecchi parrucconi del consiglio gli rode… ma gli rode… ah ah ah! E agli altri rode perché non sono stati capaci loro! Bevo alla loro salute!”

Il PA si alzò dalla panca, iroso e ancora più acceso in volto.
“E mi spieghi tu cosa c’è di bello? Adesso fuggiranno con la cassa, e ci lasceranno con il sedere scoperto alla mercé degli altri Ducati. Hanno tradito la volontà del popolo! Il popolo aveva scelto, loro invece si sono presi ciò che non era loro. Hanno scavalcato il popolo, hanno scavalcato noi!

SA
“Ahahahh, mi fai ridere! E dimmi, dunque, quand’è che è mai stato considerato, il popolo? Quando mai noi siamo stati considerati? Chi ci ha mai ascoltato? E poi, se avessero voluto scappare l’avrebbero già fatto, e prima che quegli addormentati dei vecchi consiglieri se ne fossero accorti, sarebbero già stati in Svizzera, o magari a Venezia… immagina, con la cassa ducale a Venezia, dopo tutto quel che si è detto…
Sono sicuro che a Venezia gli farebbero ponti d’oro… Ahahahh”

Il Secondo Avventore non smetteva di ridere, evidentemente era di buon umore ed aveva bevuto a sufficienza da vincere la paura degli astanti.

Riprese
“E poi dimmi, questi impavidi difensori del popolo, com’è che non sono stati in grado di difendere la Capitale? E sì che era già successo poco tempo fa a Modena… e zac (come dici tu) si sono fatti infinocchiare…"

PA, interrompendolo con foga:
“Ma li consideravamo amici! Noi pensavamo che venissero in pace, e loro ci hanno traditi! Colpiti alle spalle, pugnalati alle spalle.”

Il SA si fece serio.
“Già, pugnalati alle spalle, proprio alle Idi di Marzo. Vedi, non sono così ignorante come mi credi, qualcosa so anche io! E so anche che non ci sono scuse che tengano, se io sono responsabile di qualche cosa, la difendo da chiunque, anche dagli amici! Proprio tu sai benissimo che cosa succede, sai benissimo cosa può fare, anche uno degli amici più cari!”

Il PA ammutolì, sapeva a cosa si stava riferendo il SA, non era passato molto tempo da che…

Proprio in quel momento nella taverna entrò un Ribelle.

La gente si zittì e lo guardò dirigersi verso il bancone, dove ordinò un sidro, mentre gli altri avventori gli facevano spazio.
Si girò con il boccale in mano, faccia stanca ma rilassata e uno strano sorriso sul volto.

Il PA non ce la fece a trattenersi e sbottò:
“Proprio tu! Con che coraggio… con che coraggio entri qui dentro! Assassino! Ladro! Brigante! Siete venuti a portare la rovina nel Ducato! Ci ucciderete tutti!”

Invano il SA cercava di rabbonirlo e trattenerlo sulla panca. Il PA era a pochi passi dal Ribelle. Questi si allontanò dal bancone e si avvcinò a due spanne dal volto del PA, e sibilò abbastanza forte perché tutti potessero udirlo:

“Proprio tu, viscido serpente, che tessi trame nell’ombra, abituato a farla in barba a leggi e regole, proprio tu, ci accusi di cose che non abbiamo mai fatto e mai faremo, proprio tu sei uno di quegli esseri abbietti di cui il Ducato è popolato.”

“Assassini, ci chiami? E di grazia” sorrise “ chi avremmo ucciso? Le sei guardie ducali ferite sono state medicate e cinque di loro sono già tornate agli acquartieramenti. E sono state curate di fianco ai nostri feriti, dagli stessi medici.”

“E poi ladri, ci chiami. Ma senti da che pulpito… se fossimo stati ladri, a quest’ora saremmo qui? Avremmo insediato un governo? Avremmo chiamato i rappresentati della gente ad esporre le loro istanze?” La gente si guardò meravigliata, di questo non sapeva ancora nulla.

“Forse in quella tua testolina c’è spazio solo per la tua lingua biforcuta, rettile! Noi abbiamo detto che qui siamo, e qui resteremo” si volse anche agli altri avventori “forse non avete capito che non vogliamo niente altro che il bene del Ducato! Di un Ducato che pare addormentato e pago della propria ricchezza, e che tutti i giorni veniva pubblicamente schiaffeggiato dalle piazze italiche. Non so voi, ma io ho un orgoglio. Non so voi, ma io sono fiero di essere milanese! E non voglio che quattro politicanti addormentati ci consegnino mani e piedi ai nostri aguzzini…”

Si allontanò dall’uomo.

“Signori, noi siamo qui con tutte le intenzioni di restare. Eppure le elezioni sono già indette, tutti sono liberi di candidarsi, la libertà di parola, di espressione, di votare, non è stata da noi cancellata.”

“Ma questo chiediamo: quale Ducato volete? Un ducato molle e pago, che spera negli eventi favorevoli (e si è visto da quanto facilmente abbiamo conquistato il potere) o un Ducato sveglio, attivo, che cura i propri interessi, che possa diventare grande, e soprattutto rispettato?”

“Signori, fra poco più di due settimane la parola starà a voi. Fra due settimane noi non ci saremo più, e voi potrete decidere, se abbandonare l’ultimo barlume di speranza, o provare a crescere e a creare!”

Finì d’un sorso il sidrò, lanciò il boccale al taverniere, e fece per uscire.

PA, urlando con il pugno alzato.
“Tanto lo so quello che farete: vi processerete con un processo farsa e vi assolverete, così nessuno potrà più condannarvi!”

Il ribelle si girò, sguainò la spada e la puntò alla gola del PA.
“Verme, lurido verme strisciante. Noi non ci faremo nessun processo. Noi non uccideremo nessuno, se non ci costringerete voi. Perfino” e ringuainò la spada “non avremmo neanche bisogno di difenderci, se non ci foste voi.”

Si voltò e uscì.


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Il Comunicato

Quella mattina, un nuovo comunicato apparve nella bacheca ducale:




Noi Consiglio del Ducato di Milano,

nella pienezza legittima dei nostri poteri, consapevoli dei nostri doveri prima ancora che dei nostri diritti, e a maggiore chiarimento delle nostre intenzioni

Comunichiamo:

Il Consiglio è impegnato fin dal primo giorno nell’amministrazione ordinaria del Ducato affinché nessun cittadino abbia a soffrire di questa situazione transitoria, e lo farà fino alle prossime elezioni.

Il Consiglia conferma fino a nuovo ordine o fino a rinuncia degli stessi, tutti gli incarichi di nomina consiliare attualmente in essere.

Il Consiglio comunica di non avere al momento attuale alcun nominativo inserito nella lista dell’Esercito Ananke, e che, fino a nuovo ordine, non ve ne sarà alcuno, pur riservandosi il diritto di inserire chiunque trasgredisca le ordinanze in vigore riguardo l’integrità delle frontiere ducali.

Il Consiglio si adopererà affinchè le prossime elezioni ducali si svolgano nella più completa e assoluta regolarità.

Il Consiglio conferma i colloqui in corso con rappresentanti della cittadinanza al fine di accogliere le istanze della popolazione e per meglio operare per il benessere del Ducato.


Le firme arzigogolate e i sigilli chiudevano il comunicato.

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Noi, il Consiglio del Ducato di Milano,
nella pienezza legittima dei nostri diritti e dei nostri doveri

Comunichiamo che

Nonostante la nostra buona fede nei riguardi dei precedenti consiglieri.

Nonostante fossero avviate le trattative in via riservate per esaminare insieme gli atti da concordare per il bene del Ducato.

Nonostante che l’attuale legittimo Consiglio avesse sottoposto un documento come base per la discussione, senza ricevere alcuna risposta.

Constatiamo

Che il deposto Consiglio ritiene di potere agire da solo e secondo i propri intendimenti, non concordati e non discussi con l’attuale legittimo Consiglio.

Concludiamo

Che i deposti consiglieri non desiderino interlocutori.

Che i deposti consiglieri rifiutano ogni ipotesi di accordo con l’attuale Consiglio.

Confermiamo, da parte nostra, di essere sempre aperti e disponibili al confronto, nel rispetto delle singole cariche e prerogative.

Addì 19 marzo 1457

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Porcelli a passeggio

“Perché… accidenti al dimonio… tutti son curiosi del perché…” disse Prometeo.

“Perdincibacco, è vero, l’abbiamo scritto cento volte, l’abbiamo urlato ai quattro venti, e ancora ce lo chiedono!” rispose Atena.

“Siam soldati, figli del nostro tempo, cresciuti tra i pericoli e tra le armi, non certo tra i comodi palazzi del potere. Abbiamo espresso tante volte il nostro dissenso, abbiamo assistito tante volte all’ignorar delle nostre istanze.” proseguì Caronte.

“E invero non ci troviamo a nostro agio in queste Sale, Tancredi ben se ne accorse quando venne qui.” Anche lui che di solito taceva, parlò.

Prometeo riprese: “Ma ci fosse qualcuno che guarda lontano. Sono tutti concentrati sul Castello, inclusi molti nostri commilitoni, e non sono invece a dar manforte a quel galantuomo di Tancredi, laggiù ai confini. Persino c’è chi insinua che noi affameremmo i soldati, senza essere lì con loro ma qui, a mostrar muscoli sotto le finestre del Castello.”

Caronte seguiva il filo dei suoi pensieri: “Noi, soldati e no, abbiamo espresso tante volte il nostro dissenso, abbiamo assistito tante volte all’ignorar delle nostre istanze, e intanto il Ducato è stato deriso da metà dei Regni italici, quando eravamo descritti come grassi ed appagati animali rintanati nelle proprie cucce.

E intanto i pericoli crescevano ed erano ignorati, il popolo sempre più veniva messo da parte, escluso ed estromesso dai giochi di potere.

Regole già oscure diventavano sempre più complicate, semplici domande non sorgevano neppure perché non si sapeva a chi rivolgerle.”

Atena intervenne a spezzare il soliloquio di Caronte: “Sai, ritengo sempre che sia un male quando la conoscenza è nelle mani di pochi.”

“Già, è persino peggio di quando è il potere ad essere oligarchico. La conoscenza limitata, l’ignoranza, è l’unico male.” asserì Prometeo, e proseguì:

“Ecco, potremmo forse dire che stiamo combattendo contro l’ignoranza, che ci piacerebbe che il sapere si spandesse per tutto il Ducato, che le “segrete cose” non fossero più tali, che tutti fossero in grado di salire i gradini, sino al Consiglio, perché no…”

“Certo è che il popolino fatica già a tirare avanti il suo piccolo campo, come potrebbe essere interessato a imparare qualcosa che non riguardi la coltivazione di mais?” obiettò Demetra.

“Ecco, il punto è proprio questo” Prometeo era sicuro del fatto suo “Qualcuno, ci aveva mai provato? A coinvolgere questo popolino, a smuoverlo, a dirgli: c’è qualcos’altro, che ci sono altre cose per cui vale la pena vivere, impegnarsi e lottare?”

Caronte era cinico: “La risposta? Ma la risposta è no, certo. E’ molto più comodo mantenere il popolo nell’ignoranza, per governarlo più facilmente, è molto più semplice costruire gilde, associazioni, partiti e ordini in cui incasellare e plasmare giovani anime, piuttosto che accettare di metter in discussione sé stessi e le proprie certezze.”

Colui che non parlava disse: “Ecco, io direi che forse per questo ci battiamo. Perché ognuno dei villici, dei contadini, degli allevatori e degli artigiani, possa arrivare a porsi la domanda: chi sono, che voglio? E possa egli non ricevere da altri una risposta a quella domanda mai espressa.”

“Certo, se coloro che abbiamo spodestato fossero meno attaccati alle loro cadreghe, forse ci capirebbero. Ci attaccherebbero sì, ma poi cercherebbero di continuare quello che noi, in questa maniera inusuale, vero?” rise per un attimo “abbiamo provato a fare…” concluse in allegria Dioniso.

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