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Le Giornate di Milano

Krajcek
In quel freddo mattino di marzo Milano sembrava buia e ostile come il cuore dei tanti stranieri che l’affollavano.
Non erano viaggi di piacere quelli che avevano portato nella capitale gente da tutto il Ducato

Piccoli gruppi di viandanti si incrociavano nelle locande o per le strette viuzze del centro squadrandosi lungamente con sguardi sospettosi

Muoversi silenziosamente, fuggire a occhi indiscreti, cercare di capire se chi avevano di fronte era un alleato o un sostenitore della causa avversa, se di li a poco avrebbe marciato al tuo fianco con la spada sguainata o ti avrebbe atteso dietro un angolo buio per tramortirti con un colpo di manico.

Kraj aveva lasciato alla Locanda i suoi compagni di gruppo per dare uno sguardo in città.
Susiku e Viola erano ancora mezze addormentate per la stanchezza del viaggio

Percorse uno stretto vicolo e sbucò davanti la piazza del mercato, meravigliandosi per quella folla , anche superiore alle sue aspettative.
Nei giorni precedenti aveva temuto che il cibo potesse scarseggiare nella Capitale con tutti quei visitatori e si era portato viveri per almeno una settimana, ma probabilmente molti avevano avuto la sua stessa idea e la merce più disparata era in mostra sopra le bancarelle.
Più tardi, promise a se stesso senza crederci troppo, sarebbe ripassato per comprare un paio di pantaloni rossi a buon mercato.

Nella piazza del municipio una folla di bambini sghignazzanti si era affollata davanti un piccolo teatrino di maschere
Al centro della scena, sapientemente mosse da mani esperte, due marionette con le fattezze di Romualdo e Braken.
Erano impegnate a contendersi una grossa corona d’oro, ma Il duello sembrava avere ben poco di cavalleresco perché i due pupazzi incrociavano le spade schiamazzando e apostrofandosi in modo buffo.

Mentre i bambini incitavano a gran voce i due aspiranti principi era apparsa una terza marionetta a bordo di una gondola veneziana.
Ne era sceso un individuo con lunga barba e folti capelli bianchi che dapprima si era rivolto verso i piccoli spettatori, portando una mano alla bocca nel segno del silenzio, poi saltellando furtivamente aveva afferrato la corona da sotto il naso dei due contendenti che continuavano a combattersi e ad urlare nonostante i bambini cercassero di avvertirli in ogni modo.

Kraj sorrise e continuò la sua passeggiata per le vie della città.
Vide la bella Junglesymo, sua concittadina e Giudice del nuovo consiglio degli “usurpatori”.
Procedeva con passo spavaldo senza alcuna scorta, incurante degli sguardi di odio o ammirazione che la circondavano.
pnj
La città quel giorno si era popolata fino all’inverosimile. Facce e storie che si mescolavano nel cuore di Milano.

Danitheripper non poté nascondere un moto d’orgoglio alla vista delle taverne piene. I milanesi si univano per riprendersi la loro Capitale. Pensò al rischio che incombeva fuori dai loro confini e si disse che quelle stesse persone che avevano abbandonato le proprie case senza pensarci due volte, magari avrebbero fatto lo stesso per difendere i confini in caso di bisogno. Non erano molli cittadini radunati alla bisogna come qualcuno poteva pensare vedendoli ridere ed ubriacarsi, ma agguerriti soldati pronti a combattere. Vedeva in loro il futuro, la speranza del Ducato contro il vero nemico, quello che approfittando degli eventi avrebbe potuto incombere. Quanta gente combattiva ed ignara ...

Molti non si ponevano neppure il dubbio che gli usurpatori non fossero diversi da loro, che avevano vissuto le loro vite all’ombra di un Ducato assopito e che avevano scelto di destarsi da quel torpore. Milano era viva e l’avevano svegliata loro. Si sentì tronfia di orgoglio e speranza. Vedeva quei volti, e le sembrava di scorgere il loro disprezzo, eppure ella non riusciva a nascondere un sentimento di giubilo.


“Perché Dani? - Le ripetevano – Perché lo avete fatto?” “Amici, fratelli, nemici, perdonatemi ma non esiste un solo perché. Sarebbe riduttivo. Voi stessi date delle risposte a questa domanda e spesso anche le vostre risposte hanno un senso”.

C’erano i suoi amici, quelli che irriverenti offendevano con la propria presenza il vecchio governo, e con loro c’erano mille altri perché che ronzavano nelle loro teste.

Pierluigi le aveva sempre insegnato che la sincerità era importante e che andava portata avanti la verità. Non esisteva una sola verità … per quello andavano portate avanti tutte.

Il lenzuolo era caduto e tutti avevano potuto vedere che sotto il monumento era fragile. I consiglieri erano solo uomini, avevano sbagliato ma non sempre gli errori passano in silenzio, non sempre si può perdonare. Nessuno avrebbe perdonato i porcelli mannari per quello che stavano facendo. E' la vita: giudicare ed essere giudicati.

C’era una sostanziale differenza però. I porcelli mannari si erano esposti assaltando e andavano verso la giustizia consapevoli che avrebbero dovuto affrontarla, i consiglieri invece si erano esposti al giudizio candidandosi ma di certo pensavano che l’avrebbero fatta franca qualunque cosa fosse successa.

Era questa l’accusa maggiore che traboccava da quegli indici puntati contro: perché se volevate cambiare le cose non vi siete candidati? Ed ecco una novità, una risposta: perché le cose non sarebbero cambiate. I futuri consiglieri magari sarebbero stati meno superficiali grazie a loro. Sì, proprio grazie, un punto a loro favore. Mai più Milano avrebbe visto dodici consiglieri uniti e concordi, ma anche questo la gente tendeva a dimenticarlo. Nessuno tocchi più Milano, che Milano però non dimentichi …
Junglesymo


Molte le conclusioni che trasse dall'esperienza precorsa, ma decise di soffermarsi su una in particolare perchè, ora sapeva.

Sapeva su cosa e chi contare con chi confrontarsi, con chi colloquiare e scambiare pareri ed opinioni.

Aveva udito parole spocchiose urlate senza logica, aveva ascoltato i cortesi sussurri d'approvazione nonché di disapprovazione.

Ora comprendeva che non era da tutti avere il fegato di esporsi e dire "SONO CON TE"; era di alcuni sussurrarlo, ma era da molti sommessamente seguire la massa pur non condividendone il pensiero.

E, finalmente, con la primavera giungeva l'ora delle sacrosante pulizie!

Aveva conosciuto molte nuove persone in circostanze non benevoli e lo sapeva, ma di quelle che già conosceva adesso si era fatta un quadro luminoso, chiaro, definito.

Decise di comportarsi saggiamente, scegliendo o i suoi amici per la loro bellezza, le sue conoscenze per la loro rispettabilità, ed i suoi nemici per la loro intelligenza.

Salutati gli astanti iniziò il suo vero viaggio di scoperta che, non consisterà nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi.

J.R.

_________________

http://img188.imageshack.us/img188/9172/veline.jpg
pnj
Guidare un esercito e sentirsi dannatamente soli ... “Non c’è nulla di male nella solitudine Dani - le ripeteva il suo maestro d’armi. - E’ il tuo destino … non puoi andare incontro al tuo destino pensando che esso sia quello sbagliato”.

Per tutta la vita era stata un soldato, doveva farsene una ragione: non avrebbe mai smesso di esserlo. Era bastato un appello del Capitano Tancredi per far crollare il Castello che lei ed i porcelli mannari stavano costruendo. Quella che era stata la forza di quel gruppo era stata la loro rovina: erano tutti irrimediabilmente, ineluttabilmente dei soldati.

Avrebbero voluto regalare a Tancredi un Ducato forte in cui lui avrebbe potuto gestire le difese senza attendere inutilmente le risposte di un gruppo di parrucconi. Non avevano nominato un Capitano perché non ne avevano bisogno, perché Tancredi era il loro Capitano da sempre.

Gli usurpatori erano andati via, avevano accettato di restituire il giocattolo a chi lo invocava disperatamente, ed il fulcro di tutto era lui: Tancredi De Rossi, il Duca che avrebbero voluto avere, il politico che barattava una poltrona con una trincea. Non conigli ... piuttosto polli mannari.

A chi le chiedeva se fosse valsa la pena di mollare una vita rispettabile per non giungere a nulla, lei rispondeva di essere solo un po’ stanca ma non pentita. Aveva fatto di tutto per deporre un Duca che non la rappresentava, e adesso che lo aveva visto trascinato in qualche modo nuovamente sul trono, poteva solo dire: "Sì, farò silenzio, ma mi ribello". Aveva tramato contro il suo Ducato non per la sua rovina, tutt’altro, lei e i suoi amici avevano scoperto e testato falle che altri adesso avrebbero potuto sanare saziando il loro ego.

Vedeva pseudo eroi sorgere intorno a lei, ma non scorgeva in essi il germe del coraggio, solo un’espressione bronzea, tipica delle facce toste. Si autoproclamavano paladini, ma lei non si curava di loro, il vento li avrebbe spazzati via al primo soffio. Come sarebbe volato via il loro Duca se non fosse stato sorretto da spalle più larghe.

Gli eroi per lei erano quei dodici che per una settimana avevano mandato avanti un Ducato che li disprezzava, che avevano provato a cambiare una situazione che stava degenerando non con vuote parole ma coi fatti.

“E’ solo dopo aver perso tutto che si è liberi di fare qualsiasi cosa”. “Maestro solo disperazione può attendere chi non ha più nulla, non libertà” Fortunatamente lei aveva avuto torto.

I giorni a Milano sembravano ormai lontani. Avevano desiderato che la tanto invocata democrazia tacesse, per un momento, per sentire chi parlava a bassa voce, e le voci si erano sollevate, avevano urlato, avevano mostrato volti deformati dalla rabbia.

Quando le maschere cadono fanno incredibilmente baccano. I calmi, pacati, melliflui, cercatori di voti, cacciatori di poltrone, si erano mostrati per quello che erano. In tanti avevano fatto finta di non vedere, ma qualcuno iniziava a capire e questo, pur non bastando, era stato importante.

Il volgo chiamava morale solo l’unzione moralistica, per questo i politici avevano buon gioco. Ciò che i porcelli mannari avevano fatto non era morale ma lecito: svegliare un Ducato che dormiva sugli allori e restituirlo alla sua gente rinvigorito ed umile. Umile … magari no, o chissà … speranze, forse vane, i proclami del poi rivelavano più boria di quanto non sarebbe stato lecito attendersi.

“Comandante – le stava chiedendo Levante – cosa turba i suoi pensieri? Mi perdoni la domanda diretta, ma lei non parla molto e quando lo fa è uno scherzo o una minaccia”. “Levante - gli aveva risposto senza distogliere lo sguardo da un punto invisibile dell'orizzonte - attendo la giustizia che gli altri invocano, odio la sua lentezza. La pazienza non è mai stata il mio forte, ho un futuro che invoca il mio nome”. “Potrebbe non piacerle quello che decideranno. Potrebbero essere spietati” “Mio vecchio soldato, pensi davvero che possano farmi paura? Nulla di ciò che potrebbero farmi potrebbe scalfire la mia armatura. Comprendo ed ammiro il loro odio, ognuno dovrebbe perdonare i propri nemici, ma non prima che questi siano impiccati”. “E adesso? Cosa succederà?” “Aspetterò domani per avere nostalgia Levante. Non ho ancora finito. Appena saprò che né i miei amici, né i miei nemici, avranno più bisogno di me, andrò via in silenzio, così come un giorno sono entrata nelle loro vite”.
Tergesteo


Tergesteo sedeva silenzioso presso il fuoco di campo.
Ascoltò la propria Sorella di Morte.
Ogni giorno che passava scopriva in lei un lato nuovo ed inesplorato.

Si alzò e si mise a guardare le ultime braci che una ad una regalavano gli ultimi bagliori prima di spegnersi.
Rammentò le visioni che ebbe a Milano. Il terrore che lo pervase anche soltanto a raccontarle.

Guardava le braci.

"Sorella, tu hai dato ascolto al folle. La saggezza ora ti accompagna".

Guardava le braci.

Tergesteo in cuor suo sperava di essere ancora scosso da quelle terrifiche visioni...
pnj
Danitheripper alzò lo sguardo solo quando si accorse della presenza di Tergesteo. I suoi occhi si posarono su quelli di quel soldato che lei chiamava fratello. In quel momento avvertì quanto fossero simili le loro solitudini

“Due solitudini non fanno una moltitudine fratello di morte. – Gli disse regalandogli una smorfia che poteva somigliare ad un sorriso. - Ma dividere una birra ed un fuoco non ci farà male”.

Tergesteo accettò il bicchiere che ella porgeva ma non iniziò a bere. “Come fai a procurarti sempre della birra dovunque ci troviamo?” Quando lo vide poggiare la bocca sul boccale non poté resistere e lo interrogò “Terge, perché hai scelto di essere pazzo? Perché mostri alla gente quello che non vuole vedere? Non sarebbe stato più facile per te restare a Fornovo, in quella locanda in cui ti ho conosciuto, laddove la gente ti ama e non ti chiede di tacere se non gli piace quello che dici?”

Tergesteo si fermò un attimo, immobile nell’atto di bere, seppure il liquido biondo ancora non avesse raggiunto le sue labbra dischiuse. Chiuse per un momento gli occhi, quasi a volersi concentrare, poi il movimento del pomo d’Adamo rivelò che il liquido aveva trovato la sua strada.

Mentre Tergesteo beveva la mente di Danitheripper andò a posarsi lievemente sul ricordo di Ippolita, colei che da sola aveva saputo dare corpo ai suoi fantasmi e l’aveva indotta ad affrontarli, di Amsterdam, colui che le aveva messo una penna in mano e le aveva detto “Racconta” e di Braken, che la sorte aveva voluto Duca. Quelle persone dormivano a pochi metri da lei, ma già elaborava il lutto del distacco.

“Un giorno promisi a Braken che avrei redatto per lui i Commentari della guerra Brakeniana, - aveva ripreso a fissare l’orizzonte e a dar corpo ai suoi ricordi - lui di certo non lo ricorda, ma nella mia lista delle cose da fare prima di morire ammazzata c’è ancora questo progetto. Dovrei indurlo ad imbarcarsi in qualche impresa all’estero, perché io possa mantenere quel vecchio impegno. Le folle invocano la pace, invocano l’armonia, potrò mai scrivere una storia che non abbia un lieto fine? Potrò vivere cercando l’azione, scrivendo storie in cui siano bandite le parole pace e amore?”
Tergesteo
Tergesteo appoggiò il boccale vuoto.
Fissava il fuoco come ad averne una ispirazione.

"Vedi, quel fuoco continuerà ad ardere e a bruciare e ad illuminare anche se non lo volesse. E' la sua natura, non l'ha scelta. Gli è toccata in sorte".

Si distese a guardare il cielo , le mani incrociate dietro alla nuca.

"Io non ho scelto. E' la pazzia che ha scelto me. Ella è una benedizione ed una maledizione. A me è concesso di parlare liberamente ... purtroppo pochi mi ascoltano. Anzi quasi nessuno.
Ma forse a ben pensarci ... sono io che non ascolto o meglio non comprendo.
Io le cose non le comprendo come le comprendono gli altri.Le vedo diverse".


Volse la testa . L'esistenza di Tergesteo era disseminata di distacchi che egli affogava nel delirio o nell'oblio.

Guardò la sorella di morte. Sorrise. Si distese su di un fianco e si coricò.


"Ci sono serpenti dell'esterno ritorno ai quali non può staccare la testa , Tergesteo...preparati ad un affronatare un altro dolore diverso ma sempre uguale" pensò prima di addormentarsi.
pnj
"Vedi, quel fuoco continuerà ad ardere e a bruciare e ad illuminare anche se non lo volesse. E' la sua natura, non l'ha scelta. Gli è toccata in sorte".

Danitheripper non voltò gli occhi verso la fiamma ma continuò a fissarlo per non perdere il senso delle sue parole. Gli occhi e le rughe di Tergesteo spesso rivelavano più di quanto la sua favella non avesse il coraggio di fare.

"Io non ho scelto. E' la pazzia che ha scelto me. Ella è una benedizione ed una maledizione. A me è concesso di parlare liberamente ... purtroppo pochi mi ascoltano. Anzi quasi nessuno. Ma forse a ben pensarci ... sono io che non ascolto o meglio non comprendo. Io le cose non le comprendo come le comprendono gli altri.Le vedo diverse".

Si guardarono, poi lui sorrise, si distese su di un fianco e si addormentò. Lei considerò chiusa la conversazione, si alzò, ravvivò il fuoco e riprese il filo dei suoi pensieri.

Ljsandro che aveva assistito alla scena fissava inebetito Tergesteo che dormiva. "Comandante, ma come? Permette un simile mancanza di rispetto? Quella volta in cui mi sono addormentato io in sua presenza, mi sono risvegliato su un ramo, con le braccia coperte di pece e piume, ed assicurato ad una corda che mi ha impedito di spezzarmi il collo quando sono caduto, disorientato dal non capire dove mi trovassi. Tuttora gli altri mi chiamano angioletto perché dimenandomi sembrava volessi spiccare il volo"

"Ljsandro, ti eri addormentato durante il tuo turno di guardia. E' stato solo un modo per educare il tuo spirito alle conseguenze della sua debolezza. - Dentro di sé rise di gusto, ma esternamente Danitheripper restò impassibile. - Tergesteo invece dorme il sonno dei folli. Non vedi come il suo corpo è scosso da movimenti repentini e violenti? Credi che egli riposi? Egli vede il futuro, vede ciò che sarà. Svegliandolo forse lo salverei da se stesso, ma si tratterebbe solo di rimandare l'incontro coi suoi demoni".

Le giornate si susseguivano, Milano sembrava lontana, e loro alla fine si erano candidati perché almeno un loro rappresentante fosse di monito al nuovo Consiglio che i porcelli quando non agiscono vegliano.
Tergesteo
Tergesteo dormiva.
O meglio tentava di nascondersi. Sperava che gli incubi lo lasciassero in pace.
Si sbagliava. Anche quella notte l'orrore venne a fargli visita.

Camminava nel buio. Avvolto dal buoi. Sentiva una oscura presenza seguirlo. Accelerò il passo. Corse. nella foga della corsa si voltava e vedeva quella figura eterea a mezz'aria che lo seguiva.
Aveva fattezze di donna.

Tergesteo cadde a terra, la figura lo sovrastò.
Si portò le mani suo viso e proteggersi. O solo a togliersi dagli occhi quella visione.
Inutile.
La figura si avvicinò e gli carezzò il volto.
Tergesteo era paralizzato dal terrore ma dilaniato dalla curiosità di cosa stesse accadendo.

La figura femminile gli sussurrò gentilmente.


"Dai nostri migliori nemici noi non vogliamo essere risparmiati, e neppure da quelli che noi amiamo dal fondo del cuore. Lasciate dunque che io vi dica la verità!

Fratelli miei in guerra! Io vi amo dal profondo del cuore, io sono ed ero vostro pari. E sono anche il vostro migliore nemico : lasciate dunque che io vi dica la verità!

Voi per me dovete essere quelli il cui occhio sempre ricerca un nemico - il vostro nemico.
Il vostro nemico dovete cercarvi, la vostra guerra dovete condurre, e per i vostri ideali! E se il vostro ideale soccombe, pur tuttavia la vostra buona fede dovrà gridare al trionfo!

Dovete amare la pace come un mezzo per nuove guerre. E la pace breve più che la lunga. Non vi consiglio il lavoro, ma il combattimento.
Non vi consiglio la pace, ma la vittoria.
Sia il vostro lavoro un combattimento, la vostra pace una vittoria!
Non si può tacere e starsene tranquillamente seduti, se non con la freccia e l'arco al fianco: altrimenti si fanno chiacchiere e si litiga. La vostra pace sia una vittoria!
Voi dite che è la buona causa che santifica la guerra. Ma io vi dico che è la buona guerra che santifica qualunque causa.
La guerra e il coraggio hanno compiuto cose più grandi che l'amore del prossimo. Non la vostra compassione, ma il vostro valore fino ad ora ha salvato le vittime.

'Che cosa, è buono?' voi chiedete. Essere valoroso è buono. Lasciate che le ragazzette dicano che essere buono è ciò che è insieme grazioso e toccante.
Vi considerano senza amore: ma il vostro cuore è puro, e io amo il pudore della vostra cordialità.

Voi dovete avere solo nemici da odiare, non nemici da disprezzare. Dovete essere orgogliosi del vostro nemico: allora le vittorie del vostro nemico saranno anche le vostre vittorie.

Rivolta: questa è la distinzione dello schiavo. La vostra distinzione sia l'obbedienza! Il vostro stesso comando sia l'obbedienza!

A un buon guerriero suona più gradito 'tu devi' che 'io voglio'. E tutto ciò che a voi è caro, voi dovete lasciare che prima ve lo comandino.
Il vostro amore alla vita sia amore alla vostra speranza più alta: e la vostra speranza più alta sia il più alto ideale della vita!
Ma il vostro più alto ideale voi dovete lasciarvelo comandare da me: esso dice che l'uomo deve tramontare, consumarsi per l'amore dell'azione, cercare il gesto cristallino.

Dunque, vivete la vostra vita di obbedienza e di guerra! Che importa una lunga vita? Quale guerriero vuole mai essere risparmiato?
Io non vi risparmierò, perché vi amo dai profondo, del cuore, o miei fratelli nella lotta!"


L'alba ghermì Tergesteo con artigli rossastri ed amichevoli.
Cominciava una nuova giornata, ma il tramonto era lontano.
Cercò con gli occhi stravolti un qualche volto amico che potesse aiutarlo a liberarsi del fardello notturno.
pnj
Tergesteo si destò volgendo intorno uno sguardo stralunato, lo sguardo di un uomo che è stato strappato ai suoi sogni improvvisamente, fuggendo da un incubo spaventoso. La fatica di vivere si leggeva in ogni tratto della sua persona, ma anche la capacità di giudicare gli uomini.

Danitheripper aveva vegliato sul sonno del fratello di morte e lo aveva sorpreso più volte sul punto di cedere a un nemico invisibile. Spasmi atroci avevano attraversato continuamente quel corpo possente. Grida senza voce che cercavano uno sfogo e che morivano su labbra serrate. Per tutta la notte aveva penato accompagnando con lo sguardo quei suoi movimenti repentini. Era come se ci fosse una guerra in corso e che avesse scelto Tergesteo come campo di battaglia. Più volte sentì l’esigenza di stringersi ancora di più il mantello addosso, come se il freddo le fosse penetrato fin dentro l’anima.

Tergesteo non diceva nulla: stringeva le palpebre per ricacciare indietro le lacrime, per dominare il terrore, l’angoscia del vuoto, la morsa del freddo e del buio. Non gli sfuggì l’espressione attonita della sorella di morte: “Non hai domande per me?”

“Tu fronteggi ora una verità emersa dal buio, quando il male è nascosto, ci divora lentamente senza che noi possiamo opporvi alcun rimedio. Io non posso farti ulteriori domande, ho appena visto quanto impietoso sia l’impeto della tua follia, essa mi ha colta di sorpresa, d’ora in poi pregherò per te io che non ho un Dio”.

Tergesteo sembrò riflettere, si alzò in piedi,, cancellando in un sol colpo le rughe e l'orrore, poi con uno sorriso addolcito dalla luce del giorno le piantò sul volto due occhi divertiti e le disse: “Sorella, se hai uno scopo o una meta, per favore, prendimi con te.”


Danitheripper non lo prese sul serio: “Tergesteo, giunsi a Milano come te stremata dalla lunga attesa e dall’inedia, partimmo insieme in preda alla disperazione, la nostra meta è lontana da quella città e da quegli uomini arroganti. I nostri compagni rischiano di sedersi su quegli scranni che noi violammo, cosa ci resta se non paura per l’ignoto, solitudine e follia? Non ho uno scopo: ho solo me stessa”
Tergesteo
Tergesteo sedeve su un colle poco lontano dall'accampamento.
Ripensava ancora al collquio che ebbe poco prima col Comandante della Brigata "Ananke".

Ripensava al turbamento e all'orrore dell'ultimo incubo.
Cionostante non si perdonava di aver rivolto alla Sorella di MOrte quella frase che ai proprioochhi appariva sconveniente
:"“Sorella, se hai uno scopo o una meta, per favore, prendimi con te.”
Tergesteo non distingueva se a tormentarlo maggiormente fosse l'imbarazzo per aver messo a nudo parte dei suoi pensieri oppure il peso del vincolo che aveva riversato su Dany : i vincoli son catene pesanti da portare, catene che in battaglia appesantiscono il passo e rendono debole la mano.

Si alzò e guardò l'accampamento lontano.
Ridiscese il colle.

Il Comandante di Ananke sedeva nella sua tenda davanti a delle carte topografiche.
Chiese il permesso per entrare . Il permesso gli fu concesso.


"Tutto bene, soldato?" chiese il Comandante non lasciando trasparire alcuna emozione.
"Tutto bene ..... sorella!"
All'ufficiale parve strano che il soldato Tergesteo Barbarigo avesse infranto l'etichetta militare. Ella alzò il volto a scrutare il militare.

"Sorella, abbiamo guardato a lungo nell'abisso e ora... e ora anche l'abisso ci guarda dentro.
E ha trovato orrore, solitudine e follia.
Cionondimeno fra questi mostri si nasconde anche un lampo di verità.
Credo di aver compreso che il mio..."

Si interruppe e guardò la donna nell'uniforme dei Dragoni"... il nostro scopo sia quello di far roteare una spada.

Vedi ci sono uomini che vanno in guerra per lenire le piccole e grandi ferite che subirono in tempi remoti, ben oltri i propri ricordi ... costoro fanno roteare le spade per morire con un sorriso sulle labbra, ben oltre i propri pensieri, lontano dai propri incubi.

Credo che appena tutto sarà finito mi cercherò un altro ingaggio come combattente ...."
.


Seguì un breve silenzio.

"Tuttavia, ti chiedo di essere al mio fianco quando la Morte verrà a farmi visita..."

Tergesteo rimase come inebetito dalle proprie parole : aveva speso la vita a dare, gli pareva cosa assolutamente nuova chiedere.
pnj
Tergesteo le aveva fatto una richiesta ben precisa. Lo aveva visto giungere come sollevato dal vento, lo aveva ascoltato attentamente. Quando egli finì di parlare cercò il suo sguardo ma lei lo sfuggì. Aveva preso ad armeggiare con l’elsa della sua spada e sembrava evitare di guardare negli occhi il soldato cercando di nascondere quello che gli occhi non riescono.

“Non ci pensare - disse Danitheripper come se invece lo stesse guardando in viso. - I superstiti di un’impresa non possono che sentirsi legati. A volte per il resto dei loro giorni”. Proferì quelle parole con un tono di leggera ironia. Aveva sempre vissuto come un maschio, si era abituata a sopravvivere in un ambiente duro, difficile e spesso ostile, a difendersi e a offendere senza esclusione di colpi, a indurire il corpo e l’animo. La notte trascorsa a vegliare sul sonno di Tergesteo le aveva mostrato una sensibilità di cui non si riteneva provvista.

“Tergesteo, tu confondi il mio stupore. Non è la confidenza che mi usi a spiazzarmi, ma il tuo repentino cambiamento. Stanotte ho assistito al tuo tormento, adesso che il sole è alto giurerei di aver di fronte un altro uomo con un’altra storia. Comando un esercito che è destinato all’oblio, Ananke presto sarà solo un nome nella mia memoria. Usa il mio nome, siamo sempre stati dei pari, avvezzi alla confidenza, insieme abbiamo seguito il nostro Capitano Tancredi e ci siamo scelti Braken come Duca dopo aver visto il suo valore al comando dell’armata Gemina Obscura. Non ho più gradi, non ho più titoli, mi chiami sorella e questo sono, una sorella di morte che non giudica come hai deciso di condurre la tua vita”.

“Che ne sarà di noi?”

“Siamo una strana razza di soldati. Di solito i militi ubbidiscono a degli ordini e hanno orrore del caos. Gente come noi non può fare a meno di cercare il caos. Non vorrei lasciare te e gli altri ma abbiamo avuto la nostra occasione e l’abbiamo giocata. I dadi ci sono stati amici, noi fummo i cavalieri che fecero l’impresa".

Danitheripper avvertiva ancora un muro tra loro, prese coraggio e parlò con tutta la sincerità di cui era capace "Terge ... stanotte ti ho visto nudo, ho guardato dentro la tua anima e ho avuto freddo, vorrei poterti aiutare, prendere su di me i tuoi demoni. Io riemergo dalla notte con mille domande, tu hai una compagna che si chiama follia".

Prese le sue mani tra le sue in un gesto dettato dalla confidenza, le sentì fredde, rabbrividì. “Quando provi qualche cosa che sia anche solo un minimo diverso da quelli che sono i canoni di un certo consenso, sei irriso dal mondo intero e diventi lo scemo del paese, ma io so che tu voli su ali di falco, che non ti fermi di fronte alle montagne, che le tue parole rimandano ad immagini e le immagini ad un sentimento arcaico di passione e tormento. L’unica vera avventura è la vita fratello, nel corso del viaggio supereremo le nostre meschinità, i nostri vizi, le nostre debolezze ma non ci meritiamo una sola meta, gente come noi ha bisogno di non arrivare mai”

Non aveva dimenticato la domanda più importante e vincolante che quell’uomo le aveva rivolto “… ti chiedo di essere al mio fianco quando la Morte verrà a farmi visita..." “Scusami fratello, hai il diritto ad una risposta – teneva ancora le sue mani tra le sue ma adesso le sembravano più calde. – Io ci sarò”

Era una promessa impegnativa ma in quel momento sentiva con tutta se stessa che l’avrebbe mantenuta, a costo di ucciderlo con le sue mani. Ma questo non glielo rivelò.

Non lo incontrò più per tutto il giorno e per quello appresso, Fornovo si avvicinava e non era che l’inizio di un nuovo viaggio e di nuove avventure.
Tergesteo
Fornovo.
Alla fine era ritornato a Fornovo.
Tergesteo guardava l'approssimarsi delle mura cittadine.
Respirava aria di casa. La sua mente andava al campo che aveva venduto prma di partire, certo di non fare più ritorno.
Ripensò alle missive scritte poco dopo l'assalto, quando la tempesta infuriava
"Povera figlia mia, penserà che ha un padre melodrammatico..." pensava sorridendo.

"Ananke" passò la porta cittadina. La sensazione di vedere di nuovo i volti amici dei Fornovesi lo tranquillizzò.
Il drappello arrivò fino alla piazza principale. Fu ordinato il rompete le righe.

Tergesteo cercò con lo sguardo il comandante di "Ananke".
Per un paio di giorni non avevano parlato fra loro, forse anche evitati : mettere a nudo la propria anima è impresa assai ardua per un militare e necessita di cure più di qualuque ferita.Lo sapevano entrambi.

Mentre consegnava il cavallo ad un inserviente, Tergesteo lesse distrattamente nella bacheca del municipio un avviso circa le nomine fornovesi alla Camera dei Mestieri. Osservò i sigilli del Ducato.
Sorrise. La giostra era cominciata.
Vendetta ammantata di giustizia.

"Preferisco che la vendetta mi abbracci come abbraccia una fanciulla avvenente : con l'occhio illuminato di voluttà e senza veli..." esclamò il folle "... giustizia, decoro, dignità, virtù... ".

Tergesteo rammentò
"Che la nostra virtù sia voi stessi, e non un'estranea, una pelle, un mantello: questa sia la verità che scaturisce dal profondo delle vostre anime, o virtuosi!

Vi sono altri alcunì chiamano virtù la putrefazione dei loro visi; e quando il loro odio e la loro gelosia si sono stiracchiati, la loro 'giustizia' si sveglia e si stropiccia gli occhi assonnati.

E vi sono altri che arrivano pesanti e cigolanti, simili a carri che portino giù pietre: parlano molto di dignità e di virtù; e chiamano virtù i freni!

Vi sono altri che vanno orgogliosi della loro manciata di giustizia e commettono per amore di questa delitti verso tutte le cose: così che il fondo finisce annegato nella loro ingiustizia.
Ahimè, come suona male la parola 'virtù' sulle loro labbra! E allorché dicono: 'Io sono giusto', è sempre come se dicessero: 'Sono vendicato!'
Con la loro virtù vorrebbero cavare gli occhi ai loro nemici; si innalzano solo per avvilire gli altri."


Non sapeva donde venissero quei vesi, ma facilmente erano il ricordo di notti di delirio.


"Eppure io amo questi uomini : essi mi spingono verso l'abisso. Essi mi sferzano verso decisioni che altrimenti non prenderei.
Li reputo dei nemici e li amo per questo".


Tergesteo salì su una delle torri della cinta muraria.
Sedette su di un merlo a godersi il panorama.
Guardò le proprie mani.
Le guardava come si guarda qualcosa di rinnovato, con attenzione, soppesando il minimo particolare.
Ripensò a quanto accaduto.
Quelle parole.
Quei gesti.
Quella impegnativa promessa.

Si lasciò accarezzare dal vento. Era da tanto che non si sentiva così bene.

Prese il pugnale che aveva alla cintola.
Passo la lama sul palmo della mano, ferendosi.
Osservava il sangue scivolare dalla mano.
Ripetè il motto della Compagnia "Castor"
: "Signemus fidem sanguine!"
Era ansioso di scendere in battglia a fianco della propria Sorella.
pnj
Fornovo.

Erano arrivati.

Il confine, la porta d’ingresso di un vagheggiato pericolo, ma anche la porta d’uscita verso terre ancora tutte da esplorare. Braken le aveva detto che aveva eletto Fornovo a sua dimora perché non aveva potuto farne a meno. Adesso che rivedeva le case, i volti, le taverne, si sentiva come se se stesse tornando verso il suo punto di partenza. Ci aveva trascorso ben due mesi, in missione, ed erano stati i due mesi che le avevano stravolto la vita perché lì aveva stretto dei legami così forti da toglierle il respiro al solo pensiero.

Qualcuno credeva che tutti i fornovesi fossero coinvolti nell’assalto al Castello, quell’idea la faceva sorridere. Quanto di più lontano dalla realtà … i fornovesi si preoccupavano da sempre di difendersi da ogni singolo folle cui fosse venuto in mente di assaltare il loro municipio e di saccheggiarne le casse. Quegli uomini e quelle donne erano abituati a vivere spalla a spalla con una spada in mano, non potevano che sentirsi legati, pronti a perdonare e a giustificare le intemperanze di uno sparuto gruppo di loro.

Si arrovellavano il cervello e si dannavano, cercando un modo esemplare per colpire un’intera città, convinti di mettere i fratelli l’uno contro l’altro, ma non sempre i fratelli litigano.

A differenza di Braken lei non sarebbe rimasta, la sua casa era a Piacenza. Non vi faceva spesso ritorno, ma se fantasticava su un rifugio in qualche parte del mondo la sua mente le rimandava l’immagine di quella piccola bottega in via Palermo, a ridosso del lago. Nessuno abitava nelle costruzioni adiacenti, come se con la sua presenza ingombrante avesse dissuaso anche il più coraggioso degli uomini ad eleggere lei per vicina.

In piazza ordinò il rompete le righe.

Non parlava con Tergesteo da due giorni ma quando i soldati abbandonarono i ranghi compatti fu lui che cercò in mezzo agli abbracci ed alle strette di mano di chi si salutava. I loro sguardi s’incontrarono e le scappò un sorriso. Rincuorata da quel momento di tregua tra due anime irrequiete trovò facilmente la strada per la Mensa Aristotelica San Moderano, la Taverna di Licio da Correggio. La elesse a luogo ideale per stare un po’ in solitudine in quel turbinio di emozioni che era diventata la sua esistenza.

Danitheripper ordinò una birra ed appurò, non senza meraviglia, che l’esorcista non si faceva mancare nella sua cantina bevande di ottima qualità. Poggiando il boccale avvertì un moto di tristezza. Aprì entrambe le mani e restò a fissarle. Aveva stretto quelle di Tergesteo tra le sue ma non era per quello che adesso sentiva l’esigenza di esplorare i propri palmi. Gli aveva fatto una promessa, aveva accettato il fardello di un impegno.

Una ferita profonda solcava la sua mano destra lungo la linea della vita.
“Ora siete legati da una fratellanza di sangue …” le aveva detto Pierluigi dopo aver inciso la sua carne e quella di Icemen e dopo aver mischiato il loro sangue. Un altro fratello di sangue … Si erano giurati lealtà da nemici. Tergesteo non poteva saperlo, solo Ippolita era presente in quel momento in cui lei aveva accettato quello strano patto. Ippolita aveva protestato con Pierluigi che Dani era una persona leale senza bisogno di strani rituali col Capitano delle Pantere, ma Danitheripper lo aveva lasciato fare, come se anche lei avesse bisogno di dire: quell’uomo mi odia ma io lo rispetto.

L’uno era un fratello, l’altro un nemico, aveva giurato al fratello che non lo avrebbe lasciato morire da solo, aveva giurato al nemico che avrebbe pugnato lealmente con lui o contro di lui. La lunga striscia rossa sembrava portare verso guerra e morte.
"Sarò io a trovare te quando tu avrai bisogno di me" sussurrò pensando al fratello e al nemico.

C’erano stati momenti durante la lunga notte trascorsa a vegliare la follia di Tergesteo, in cui avrebbe voluto saper piangere … se solo avesse potuto. Eppure il suo cuore era di pietra ed i pensieri nel suo cervello si erano divincolati all’idea come serpenti aggrovigliati nel loro nido. “Se non ho un’anima perché allora sento su queste mani il peso dei miei vincoli?”
Tergesteo
La notte a Fornovo piovve.Anche il cielo piangeva su "Ananke"

Tergesteo non era rientrato nella sua dimora ma aveva vagato per la città come uno spettro , per ritrovare volti amici, per ritardare il dolore, per allontanare la sorte che incombeva.
"Ananke" , la personificazione del fato , madre dell'inevitabile.

Fato, inevitabile, ruota dell'esterno ritorno, il serpente.

Tergesteo era stordito. Guardava la gente con occhi spaesati e tristi e non scorgeva alcun volto che potesse raccogliere anche solo per poco il suo pensiero.

"Non comprendete? Non comprendete che tutto sta per compiersi? Non comprendete che non sono stato in grado di staccare la testa al serpente?"

Pochissimi danno credito al pazzo, nessuno al triste : essi portano fardelli pesanti, portano il peso di vivere, portano il seme del dubbio.
E alla gente i dubbi non piacciono. Essi minano le certezze e distruggono le illusioni.

Tergesteo entrò in una locanda. C'erano molti appartenenti ad Ananke.
E c'era anche lei.
Il momento era particolare. Lei stava prendendo commiato da quella che era stata la sua armata.
La fine del sogno.

"Il fato mi ha portato qui, al cospetto del serpente circolare" si disse il pazzo "Sembra che l'ineluttabile mi prepari ad una notte insonne".

Fine del discorso di commiato.
Tergesteo stava rintanato in un tavolo in fondo. Alcuni commiltoni gli si avvicinarono per rincuorarlo "
Allegro, Barbarigo, dicono che si combatterà ancora : si prepara una grande campagna verso nord ... ci sarà da divertirsi non trovi?"
"Chi comanderà le armate?"

I militi accennarono ad un nome.
"Sono già morti ... ma ancora non lo sanno!" rispose il Folle.
La risposta lapidaria fece allontanare i commiltoni
"... è sempre peggio...è impazzito del tutto..." fu quanto riuscì a captare nel rumore della locanda.

Lei gli si avvicinò
"Fratello, non mi vorrai negare un brindisi?" disse porgendogli un bicchiere.
Tergesteo si ricordò di quando brindarono assieme al calore del fuoco di bivacco.
Ora sentiva freddo. Molto freddo.

"Hai già deciso di andare, vero sorella?"
"Sì, Tergesteo, ho deciso..."
"Capisco... dove?"
"Ha importanza per te?"
"No, non cambierebbe nulla... effettivamente , nulla"


Tergesteo si guardò il palmo della mano. Strinse il pugno fino a provocarsi di nuovo l'apertura della ferita.
"Fratello, perchè continui a farti del male?"

Tergesteo alzò il capo chino fino a quel momento.
"Sono un pazzo, no? Io non necessito di ragioni nè di giustificazioni..."
Riaprì la mano ferita, arrossata dal sangue fuoriuscito.
"Ti chiedo di rammentare quanto mi hai promesso, soltanto...rammenta"
"Lo farò ... vedi? Ho la stessa cicatrice : siamo legati da un vincolo di sangue..."
"Come ad un nemico o come ad un fratello?"


Danitheripper rise
:" L'hai detto tu che non fà differenza, non ricordi più, soldato Barbarigo?"
"E' vero..."

Tergesteo si alzò e senza dire una parola uscì dalla locanda la pioggia forse gli sarebbe stata d'aiuto.
Si ritrovò in strada , incurante del proprio nome prima sussurrato e poi gridato da lei.

La pioggia lavava la ferita. Decise di tornare sulle mura.

Vide strisciare fuori da una crepa una serpe di colore scuro , che si dimenava e contorceva.
Tergesteo agì istintivamente e le lanciò contro il pugnale che rimbalzò a terra a pochissimo dalla testa del rettile, emanando fallimento e scintille.

La serpe si allontanò.
"Neanche stavolta sei riuscito a staccare la testa del serpente , vero Tergesteo?"
Il fato era compiuto. Ora era nelle mani e nella sua osservanza del patto.

Il sonno non veniva, la notte lunga, gli incubi viventi.
La pioggia era come un pianto che il cielo versava dopo averlo strappato dai propri mendri più oscuri.
Tergesteo sentì che il cielo poteva essergli compagno stanotte e decise di imitarlo.
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