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Con gli occhi chiusi

--Demone_del_tardi
L’alba. Un dono per chi come me vive alla giornata. Non so mai se vedrò la prossima alba e ogni volta mi emoziono come se fosse la prima. O l’ultima. Non so se sono io a cercare i guai in cui di volta in volta mi caccio, o se essi mi troverebbero lo stesso, nel giaciglio pulito di una vera casa, sotto l'ombra di un frutteto, o sulle rive scoscese di un lago. Eppure non credo che potrei mai rinunziare a questa vita raminga, priva di affetti ma non di occasionali amici che nella mia fantasia rappresentano l’unica famiglia che io abbia mai avuto. Che si tratti di una nave o di un carretto, la precarietà mi rende indietro l’ebbrezza di questa vita folle e piena. Non lo faccio per soldi, né per gloria, solo per sfidare i miei limiti o perché so già che la vita in una bottega sarebbe peggiore di una condanna a morte.

La risposta mi raggiunge durante la breve sosta a Piombino. La stavo attendendo. Il timbro di ceralacca con le insegne nobiliari non lascia spazio ai dubbi.




“Ho letto la tua missiva.
Potrebbe interessarmi.
Vediamoci al posto che mi hai indicato, vieni da sola”.


Nessuna firma.

Sorrido. Non sono i guai che cercano me, sono io che li trovo.
--Latrodectus
- Aspettami! Verrò da te, aspettami! -

- Io ti aspetto, ma tu non verrai, lo so. -

- Non hai più fiducia in me? Ci rincontreremo. –

- Ci sono cose che ti separano al di là di ogni ragionevole tentativo di ricongiungersi. Verrò io da te, un giorno, ma non è ancora il momento. –

- Non lascerò che nulla mi fermi, tornerò. –


Assaporò per un istante il contatto della mano tiepida di lui sulla sua gota, le sembrava di sentire perfino la ruvidezza dei calli. Come può avere le mani così tiepide? Poi svanì, come se fosse fatto di fumo.



Si svegliò urlando, nella minuscola stanzetta soffocante nel retro della locanda. I suoi pochi averi sparsi d’intorno rendevano il bugigattolo caotico e se possibile ancora più piccolo.
Di nuovo… era successo di nuovo…
Un lieve bussare alla porta destò improvvisamente la sua attenzione. Senza che avesse tempo di rispondere, la porta si aprì su un’esile figura.


- Non va meglio, eh? -

- E tu, cosa ne sai? –


Di fronte ad un silenzio eloquente, si risolse infine ad alzarsi dal letto.

- Mi hai sentita, o te l’ha detto lui? –

- Entrambe le cose. Allora, come ti trovi, qui? E che fai ancora a letto a quest’ora? –


Lei fece una smorfia, mentre si lavava il volto nella catinella sbeccata. Si erano conosciute durante il breve viaggio che l’aveva portata in quella città ed in breve tempo, aveva sviluppato una profonda simpatia per la sua interlocutrice. Ma in quel momento, avrebbe voluto fosse miglia e miglia lontano, detestava sentirsi scrutata a quel modo.

- Il locandiere mi dà vitto e alloggio in cambio di un aiuto a servire ai tavoli la sera, quando c’è più gente, perciò faccio tardi. Per il resto – continuò con un’alzata di spalle – qui non è diverso da altrove, ma ho disperatamente bisogno di denaro, non posso spostarmi. Un lavoro orribile la sera, l’altra mezza giornata ad accettare qualunque tipo di contratto possa venirmi offerto… direi che va a meraviglia. – sorrise amaramente nel concludere la frase.

- E se ti dicessi che ho in ballo qualcosa di grosso, e ben pagato? –

- Che genere di “qualcosa”? –

- Andiamo a mangiare, e te lo spiego. –


Si spostarono nella taverna della locanda che, a quell’ora, troppo tardi per il pasto del mattino e troppo presto per il pranzo, per chi poteva permetterselo, era quasi vuota. Sparì in cucina e ritornò poco dopo con pane e latte. Lo poggiò sul tavolo davanti alla propria interlocutrice, si sedette e fissandola, cominciò a mangiare.

- E allora? –
- Ho mandato questa ad un nobile che ho conosciuto causalmente, mi aveva fatto una buona impressione e così lo avevo avvicinato. –
disse mettendole davanti un pezzo di pergamena – Mi ha risposto che l’iniziativa gli interessa. Questo è l’obiettivo e questa è la paga. Abbiamo bisogno di gente fidata e che se la sa cavare, che ne dici? –

- Accipicchia… e me lo domandi? Sarà sempre meglio che fare la sguattera o la cameriera in questo schifoso buco! Ma… “sapersela cavare”? Che vuol dire esattamente? –
dall’entusiasmo, ora si insinuava il sospetto.

- Hai una spada? La sai usare? Obbedire agli ordini quando serve? – di fronte al suo cenno positivo, l’altra proseguì - Bene, te la sai cavare. –e le sorrise.

- Con la spada, e non solo. – confermò. Bene, le cose si stavano facendo interessanti.

- Oggi vado ad incontrarlo. Se tutto va bene, ti faccio sapere dove trovarci. –

Conclusero il pasto parlando più o meno allegramente, poi si salutarono. Rimasta sola con i suoi pensieri, mentre andava all’acquaio del cortile a lavare i piatti, rifletteva sulla proposta che le era stata rivolta. Era davvero giunta al momento più opportuno: un lungo viaggio, possibilità di guadagno, qualcosa di diverso a cui pensare che non fossero i suoi problemi… e forse, nell’impeto del combattimento avrebbe tacitato la voce angosciosa delle sue notti. O avrebbe finalmente trovato la via per raggiungerlo.
________________


Latrodectus
--Cridhe_gaidligh
Passava e ripassava con movimenti regolari davanti la scrivania della propria magione.
Era nervoso, ma aveva la matematica certezza che la donna si sarebbe presentata all'appuntamento. Il nervosismo infondato lo irritava ancora di più.
Si fermava di tanto per bere del whiskey, posando con vigore il bicchiere sulla superficie lignea della scrivania.

"Non si può scegliere il modo di morire, e nemmeno il giorno. Si può soltanto decidere come vivere, avrebbe detto Ambrosine... e a che serve dunque accumulare titoli, ricchezze, terre, se non potremo portarli un giorno nella tomba?
Essere o non essere, questo è il problema. È forse più nobile soffrire, nell'intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna, o imbracciar l'armi, invece, contro il mare delle afflizioni, e combattendo contro di esse metter loro una fine? Morire per dormire. Nient'altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Quest'è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire per dormire. Dormire, forse sognare. È proprio qui l'ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci siamo liberati dal tumulto, dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere. È proprio questo scrupolo a dare alla sventura una vita così lunga! Perché, chi sarebbe capace di sopportare le frustate e le irrisioni del secolo, i torti dell'oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell'amore non corrisposto, gli indugi della legge, l'insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale? chi s'adatterebbe a portar cariche, a gèmere e sudare sotto il peso d'una vita grama, se non fosse che la paura di qualcosa dopo la morte – quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore – confonde e rende perplessa la volontà, e ci persuade a sopportare i malanni che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali ancor non sappiamo nulla. A questo modo, tutti ci rende vili la coscienza, e l'incarnato naturale della risoluzione è reso malsano dalla pallida tinta del pensiero, e imprese di gran momento e conseguenza, devìano per questo scrupolo le loro correnti, e perdono il nome d'azione.

Scelgo oggi, irrimediabilmente, di essere come folgore di diamante, di brillare per pochi attimi per poi spegnermi, spegnermi inesorabilmente."

Si risolse. Prese posto in una sedia, e portò il mantello sulle ginocchia accavallate per riscaldarsi dagli spifferi che entravano dalle finestre.

*TOC * TOC*

Tremò.
Come un giovane alle prese con la prima donna, come un novizio alla prima battaglia.

"La vostra ospite è arrivata."
Sorrise nervosamente.
"Falla accomodare, sono pronto."


--Demone_del_tardi
Il nobile non è che un uomo, e all'uomo lei aveva scritto prima che al nobile.

Aveva visto in lui la fiamma della ribellione contro quella vita ordinaria e ripetitiva e su quella aveva fatto leva.

Quell'idea le era balenata qualche giorno prima, come un pugno in pieno stomaco, e altro non era che una reazione all'ennesima ingiustizia. Le notizie giungevano in forte ritardo e magari edulcorate dalla distanza o esacerbate dal passaparola. Ma le notizie per quanto incomplete erano tante e tutte conducevano a una sola e tremenda verità: chi li governava decideva arbitrariamente agevolando di volta in volta gli amici e accanendosi contro tutti gli altri. Ma che avrebbe potuto fare lei da sola contro la madre di tutte le ingiustizie? Contro il potere che schiaccia e decide e cambia le regole quando gli va?

E poi aveva sentito parlare lui. La stessa idea. O era solamente suggestionata dai pensieri che l'agitavano?

Magari era ubriaco, magari vaneggiava, ma lui era un nobile e i nobili, a differenza dei vagabondi, hanno i mezzi per far sì che le idee si mutino in qualcosa di più concreto.

Non sapeva che fosse la sua magione. Quel giorno era stata invitata da una dama, cui aveva reso un servigio, ad assistere ad una battuta di caccia al cervo. Si era avvicinata ai cacciatori in un primo momento colpita dallo spettacolo. Voleva ammirare da vicino quei magnifici cavalli, accarezzare i cani.

Lui si faceva notare per la sua corporatura, ma non solo. Uomini grassocci e poco credibili in quelle vesti riccamente decorate tentavano di seguire il suo passo, ma non riuscivano a stargli dietro. Parlava loro, ma non di quello che stavano facendo in quel momento, parlava di terre lontane, di ingiustizie, di armarsi e partire, di rinunziare a quella vita inutile. Gli altri ridevano, come se le storie che lui raccontava non fossero che motti di spirito.

Lei non aveva riso.

Era stato in quel momento che lui aveva spinto i cavalli al galoppo.

Guidava una battuta di caccia ma sembrava che istruisse financo i cani alla guerra.

Il nemico non erano i cervi, le cui corna nulla avrebbero potuto per difendersi dai fendenti e dalle frecce dei cacciatori, il nemico era altrove.

Aveva atteso il suo ritorno, e nel farlo aveva accarezzato l'elsa della spada nascosta sotto al mantello come se da un momento all'altro avrebbe dovuto o potuto utilizzarla.

Le urla dei servitori alla vista del padrone che tornava dalla caccia l’aveva riportata alla realtà. Lo aveva avvicinato e come spinta da un impulso gli aveva chiesto:
“Signore siete forse ubriaco?”

Lui non le aveva risposto, di certo non aveva compreso il senso di quella domanda, e nel frattempo lei era scappata, prima che lui avesse potuto farla allontanare.

Non era stata una buona idea per un primo approccio, così era dovuta ricorrere alla lettera. Spiegargli, proporgli. E lui aveva accettato di incontrarla, laddove quel giorno una strana ragazzetta lo aveva avvicinato per chiedergli se fosse ubriaco.
--Pantasilea
Il cielo sgombro dalle nuvole, la brezza marina che soffiava portando con se i primi brividi autunnali, le onde che lambivano la sabbia e si infrangevano sulle nude caviglie di una donna che lentamente camminava sulla spiaggia, con le scarpe tenute per i lacci in mano.

Camminava, lenta, guardando l’orizzonte, guardando la linea che divideva e contemporaneamente univa il cielo e il mare. Era in attesa. Attesa di una partenza che tardava ad arrivare. E mentre attendeva ripensava al passato, agli attimi che l’hanno portata lì, su quella spiaggia, in quel giorno, con quelle persone.

Come se si trovasse a leggere un libro, i ricordi di quel giorno, le si pararono di fronte.

    Ci siamo rincontrati in taverna dopo tanto tempo. Non lo vedevo da quanto? Mesi? Diamine mi sembra un secolo.
    I soliti convenevoli di rito. Ci raccontiamo quello che abbiamo passato. Ci scherziamo e ci ridiamo sopra. Bel modo per togliere la tensione di dosso al ricordo degli eventi.
    Iniziamo a divertici come solevamo fare da giovani, quando pensavamo di poter fare tutto, di poter raggiungere tutte le vette. Quando con noi, comminavano grandi nomi.
    Il sole è calato. La taverna si è svuotata. Anche l’oste, un amico di vecchia data, si è ritirato. Siamo soli. Sotto gli effluvi dei ricordi e della birra.
    Mi accenna ad un piano. Mi dice: “sai, parlando con alcuni, è venuta fuori questa idea. Qualcuno si è mostrato interessato. Altri mi hanno dato del pazzo.
    Non lo faccio terminare: “Contate un numero in più.
    D’accordo” - mi risponde, quasi che si fosse aspettato quella risposta. Prende la mappa. Io tamburello con le dita su di un libro. Mi indica dei precisi punti. “Questo è il primo punto di incontro, da qui ripartiremo verso qua.
    Traccia linee sulla cartina. Non mi interessa più di tanto. Ascolto, assimilo, annuisco.
    Cala il silenzio nella taverna, come se entrambi rimuginassimo su quanto è appena stato discusso.
    Sfoglio il libro, lo sguardo mi si ferma su un pezzo specifico, chissà perché, non mi aveva mai attirato.

    Citazione:


    Venimmo al piè d'un nobile castello,
    sette volte cerchiato d'alte mura,
    difeso intorno d'un bel fiumicello.
    Questo passammo come terra dura;
    per sette porte intrai con questi savi:
    giugnemmo in prato di fresca verdura.
    Genti v'eran con occhi tardi e gravi,
    di grande autorità ne' lor sembianti:
    parlavan rado, con voci soavi.
    Traemmoci così da l'un de' canti,
    in loco aperto, luminoso e alto,
    sì che veder si potien tutti quanti.
    Colà diritto, sovra 'l verde smalto,
    mi fuor mostrati li spiriti magni,
    che del vedere in me stesso m'essalto.
    I' vidi Eletra con molti compagni,
    tra ' quai conobbi Ettòr ed Enea,
    Cesare armato con li occhi grifagni.
    Vidi Cammilla e la Pantasilea;
    da l'altra parte vidi 'l re Latino
    che con Lavina sua figlia sedea.
    Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino,
    Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia;
    e solo, in parte, vidi 'l Saladino.
    Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
    vidi 'l maestro di color che sanno
    seder tra filosofica famiglia.
    Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
    quivi vid' ïo Socrate e Platone,
    che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;
    Democrito che 'l mondo a caso pone,
    Dïogenès, Anassagora e Tale,
    Empedoclès, Eraclito e Zenone;
    e vidi il buono accoglitor del quale,
    Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
    Tulïo e Lino e Seneca morale;
    Euclide geomètra e Tolomeo,
    Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
    Averoìs, che 'l gran comento feo.
    Io non posso ritrar di tutti a pieno,
    però che sì mi caccia il lungo tema,
    che molte volte al fatto il dir vien meno.
    La sesta compagnia in due si scema:
    per altra via mi mena il savio duca,
    fuor de la queta, ne l'aura che trema.
    E vegno in parte ove non è che luca.


    Ho deciso” – dissi richiudendo in uno schiocco il libro – “per questa avventura, fino a quando i tempi non saranno maturi, chiamatemi Pantasilea.
    Annuisce. L’ora è tarda. È tempo dei saluti. Ci avviamo all’uscita e mentre la porta si richiude alle mie spalle, l’ultimo avvertimento: “Tieniti pronta. A breve partiremo. Prendi qualche scorta di cibo. Ci serviranno.
    Annuisco. Un cenno della testa. La consapevolezza che quella discussione non era mai avvenuta, non in quel luogo, non in quel giorno. Sappiamo che avremo un luogo specifico ove radunarci e discutere di tutto. Tutto a tempo debito. Ci salutiamo, ci dividiamo, ognuno per la propria strada. Fino alla partenza.


Il passato diventa il presente, ed ora su quella spiaggia, le domande, che fino a poco tempo addietro non c’erano, sorgono spontanee.

Che cosa voglio? Che cosa vogliono tutti gli uomini? Fama, ricchezza, potere? Voglio queste cose? Voglio la fama? Voglio la ricchezza? Voglio il potere? Forse non voglio nulla se non una sfida con me stessa, o forse voglio tutto, mascherandolo agli occhi degli altri come una finta nobiltà d’animo.

Si siede sulla spiaggia, poggiando le scarpe da un lato. Si passa la sabbia fra le mani, lasciando che in parte sia portata via dal vento.

Gli uomini cadono e periscono come granelli di sabbia, ma le gesta e i nomi di alcuni non periranno mai.
Forse… voglio incidere il mio nome a fuoco nella storia, ed essere ricordata anche quando i miei resti non saranno che polvere nell’aria.
Forse …
- si alzò e iniziò a scrollarsi la sabbia di dosso – … al termine di tutto, forse scoprirò il perché sono qui oggi… e perché sarò lì domani…
Riprese le scarpe, continuò la sua passeggiata sulla spiaggia. In attesa…




--Erebo


Appena il tempo di vedere la realtà
e brucia una generazione.
Appena liquidata un'autorità
ecco un nuovo padrone.
Con questo suicidio di una civiltà
nello scempio e nel languore,
un vecchio mondo ingiusto crolla e se ne va
ma ne avanza uno peggiore.


Quella notte la luna aveva deciso di dare il meglio di sè.
Una coltre lattescente era stata distesa d'intorno, strappando al buio il proprio dominio sulla notte.
Iluminato dalla luce siderea, un uomo stava armeggiando sui finimenti di una cavalcatura, la quale di quando in quando gattava qualche nitrito d'insofferenza, ma senza convinzione come a voler rispettare il silenzio notturno.

Approfittando dell'indolenza equina, il cavaliere aveva stretto una delle cinghie della sella, in modo da fissarvi un lungo involto nero, che dalle fattezze si sarebbe detta una spada.

D'improvviso, un chiarore proveninete dall'interno d'una locanda rischiarò il selciato e offendendo il chiarore lunare.
Dal locale usci una figura di donna, che alla chiusura della porta dietro di sè si confuse con il tenue pallore lunare.
Ella si avvicinò al cavaliere , incurante della sua presenza.

"Pensi di rivolgermi la parola,prima di partire?" chiese la dama.
"Penso che dovrei ucciderti,qui e ora..." abbaiò il cavaliere, fissandola.
Silenzio.
Poi la voce maschile continuò.
"Mi auguro che ti renda conto di cosa tu stia facendo e di chi sia la persona che hai interpellato...".
Il cavallo fremette sotto la stretta di una cinghia serrata con veemenza e rabbia.
".. e soprattutto mi auguro che tu sappia quanto questa tua decisione mi irriti!"
Silenzio, sebbene per poco.
"Avrei potuto capire se tu non mi conoscessi ... questo sì ... ma da te,proprio da te..la cosa mi manda in bestia!"
Vi fu una risposta di voce femminile, senza risentimento.
"Forse perchè ti conosco meglio di chiunque altro..."
"Ah certo.. vedo come mi conosci! "

La luce lunare sembrava volesse sottolineare la scena, illuminando il giovane volto della dama, una giovane donna.
"E dimmi , avresti preferito restare a casa a coltivare il tuo campicello?" chiese la fanciulla.
"Non è questo il punto ..." rispose l'uomo.
"Ah no? E qual'è?Che è più comodo vivere nel passato?"
L'uomo sospirò.
"Mi suona come un tradimento, ecco tutto..."
La donna si avvicinò al cavaliere.
"No, non lo è ... i nemici sono altrove!"
L'uomo lasciò che la voce della donna si perdesse nella luce lunare.

"Torna dentro ...fa freddo ... è autunno,oramai" la invitò l'uomo.
Ella sorrise.
"Va bene ... buonanotte".
L'uomo la salutò con un cenno del capo , osservandola rientrare nella locanda.

L'uomo continuò a il suo lavoro ai finimenti.
Senza fretta e senza rabbia.
--Rogner

    Thou, nature, art my goddess; to thy law
    My services are bound. Wherefore should I
    Stand in the plague of custom, and permit
    The curiosity of nations to deprive me (..)?
    (...)
    Now, gods, stand up with bastards
    !


Sei tu, Natura, la mia dea; alla tua legge sono legati i miei servigi. Perché dovrei giacere nella peste delle abiturini, e permettere alle convenzioni del mondo di impoverirmi (..) ?
Ora, dei, schieratevi coi bastardi!



La ragazza fissava il mare, come sempre, come non avesse avuto altro da fare, lasciandosi scompigliare i capelli già arruffati dal vento, unica carezza che passava su quel viso sporco e quelle labbra bruciate dal sole.
Non le piaceva pensare. Non ci era abituata: sapeva solo agire, muoversi, spostarsi, ed era troppo tempo che aspettava novità. Aveva rincorso il tempo e i cambiamenti, ed essi si erano nascosti così bene, che da un pezzo la sua vita era diventata statica come quella di un grosso pezzo di marmo grezzo in attesa d'essere scolpito. Lavorava il minimo per riuscire a pagarsi un pasto decente, senza mai riuscire ad accumulare un soldo. Aveva smesso anche di frequentare le taverne: pochi offrivano da bere, e aveva cominciato a sentirsi a disagio, fra contadini che copiavano i modi borghesi, borghesi che copiavano i modi dei nobili, e nobili che copiavano i modi dei contadini.
Chi era sé stesso in quel buffo girotondo? Ognuno cercava una normalità un po' diversa da quella che aveva, una vita industriosa e socialmente ammirevole, i cambiamenti erano piccoli, e sempre in funzione del mantenimento della staticità.
Lei voleva semplicemente vivere com'era nel suo animo: si stancava rapidamente, aveva bisogno di cambiare, di spostarsi, di rischiare.
Non avere uno scopo la riempiva d'irrequietezza, che si sfogava solo nella costruzione di sogni, di avventure immaginarie, in cui mescolava toppe di ricordi smembrati dal loro contesto coi propri desideri e un pizzico di ambizione. Fin da bambina i sogni erano stati la sua fuga preferita dallo squallore del suo mondo, ma cominciavano a non bastarle più.

Poi erano arrivati loro. Non erano dei signori qualunque. Il passo deciso, la spada al fianco, con la mano sempre pronta a sguainarla. Eleganti, ma senza lusso, senza ostentazione. Militari, sicuramente; ma non i militari da caserma, tutti disciplina e formalità, sissignore e appostamenti sui nodi contro i briganti, pochi ideali e coraggio solo quanto basta per superare gli addestramenti ed avere la paga. Soldati veri, che portavano i segni delle battaglie nello sguardo e nei modi asciutti.
Li seguì, se non altro per vedere qualcosa di nuovo. Sedettero in taverna ad un tavolo appartato. Parlavano sottovoce.
Lei si avvicinò con aria indifferente, fingendo di limitarsi a cercare un posto appartato e qualcosa da bere. La guardarono di sottecchi prima di riprendere a parlare fra loro, lei fece un cenno di saluto rispettoso e poi si girò con indifferenza verso l'oste che arrivava con la sua birra. Un largo sorriso all'arrivo dell'alcol, per convincerli che il suo interesse si limitava a quello, e poi prese a fissare l'entrata, con le orecchie volte ad ascoltare la conversazione.

Erano prudenti, e non capì molto. Colse qualche parola: dedusse che la nave arrivata pochi giorni prima era loro, e che stavano parlando di qualche avventura, di qualcosa di rischioso.

Finì di bere ed uscì. Non sapeva dove stavano andando e cos'avrebbero fatto, ma le era venuta un'idea.

Oramai le guardie del porto la conoscevano e non le prestavano attenzione; risposero a tutte le sue domande, abituati alla sua curiosità sulle navi in partenza e in arrivo. Occhi più attenti avrebbero notato che lei non si limitava ad ammirare uno dei natanti in particolare, ma ne esplorava con lo sguardo i particolari, cercando di imprimersi tutta la sua struttura in testa.

Finalmente arrivò la vigilia della partenza. Quella notte, un'ombra furtiva, silenziosa come un topolino, nascondendosi dallo scarso chiarore della luna ed eludendo le guardie del porto, passò dalla terraferma alla nave, e si nascose in una scialuppa, felice come non lo era da tempo.
--Latrodectus
Preparativi.
Raccattare il piccolo angolo di mondo che ci si è costruiti per trasferirlo altrove.
Non sarebbe stato difficile.
Non stavolta che il suo mondo era fragile e sottile come una ragnatela.




Il bigliettino, scarno e asciutto, conteneva semplicemente la data e il luogo di ritrovo. Che fosse davvero la scelta giusta? Quando tutte le scelte sono sbagliate, c’è poco da recriminare.

C’era stato un rapido giro al mercato, quel pomeriggio, per recuperare l’equipaggiamento indispensabile all’impresa: abiti, cibo, un giro dall’arrotino per affilare le armi.
Considerò per un istante l’idea di avvelenare le lame: un ragno raramente si lascia sfuggire la preda… non aveva esperienza con quel genere di lavori, e non voleva fallire, ma alla fine stabilì che avrebbe sempre potuto farlo in seguito, se si fosse reso necessario.

Aveva sostituito il proprio abito con dei calzoni, una camicia, una giubba, tutti neri, si adattavano al suo stato d’animo e allo scopo che essi avevano. Un corpetto di cuoio tra la camicia e ciò che la sovrastava assicurava libertà di movimento e un minimo di protezione, certo non aveva il denaro per una cotta di maglia, che comunque avrebbe attirato troppo l’attenzione. Un mantello scuro e i suoi vecchi e comodi stivali, completavano l’abbigliamento.
Raccolse i capelli in una treccia e se l’avvolse attorno al capo. Sì, poteva andare.

Nelle bisacce, il minimo indispensabile, biancheria, un pettine di legno. Assieme ai ricordi che portava nella tasca, un nastro e quello che sembrava un pezzo di stoffa consunto e sbrindellato, le sembravano i relitti di un passato perduto, il che era in effetti molto vicino alla verità.

… si riscosse, scuotendo la testa. Tali pensieri oziosi non portavano a nulla e non era bene assecondarli. Con fare deciso si cinse la spada al fianco, raccolse le bisacce passandosele sulla spalla e uscì dalla stanza senza voltarsi indietro.

________________


Latrodectus
--Rilke_stuart


***Non ammazzare se non nel mio nome, o il sangue che hai versato, ricada su di te.***

Era l'alba di un nuovo giorno e sulla passerella camminavano scaricatori di porto e passeggeri, mentre il capitano ora soprintendeva ai lavori, ora andava in taverna ad ubriacarsi, ora girovagava per il mercato.
"Gli avrei dovuto chiedere di dirmi qual è il prezzo minimo del grano... ho quei quattro sacchi che mi occupano solo spazio. Mh... per certe cose, ci serve la mentalità da mercanti ed io proprio non ce l'ho."
L'aria era tersa d'umidità ed il giorno ancora non era arrivato, nonostante il disco luminoso avesse cominciato ad affiorare sulle colline d'oriente.
"Se solo mi rispondesse..."
Sul ponte della nave passeggiava aristocraticamente l'uomo avvolto nel mantello di lana nera sul ponte della nave. La brezza marina faceva frinire le penne che decoravano il suo cappello, nero anch'esso, il quale stava ben calcato sulla fronte.
La sua mano corse quasi involontariamente nella tasca interna della giacca, a cercare unpezzo di carta che vi teneva nascosto.


G--->M--->V(1)--->A--->?

5.4.3.3.3

LV V
CL ?

Sinteticissimi appunti per una memoria che dubita di se stessa.

Sentì il suo corpo fremere per un brivido di freddo e così scese nella sua cabina: aprì un baule per estrarne una sciarpa.
"Uhm... rossa o bianca?"
Si risolse per la bianca e se l'avvolse attorno, poi tornò sopra.
Il sole era già più alto e la sua luce tiepida cominciava finalmente a rischiarare il mattino.



________________
--Erebo
Cavalcatura che scavano il fango, cielo straniero plumbeo, coltre impassibile che scruta maligna.
Odore penetrante di pioggia e terra,grassa e imbibita.

Ondeggio prigioniero del movimento.
Attendo.

Attendo risposte.
O di pormi semplicemente la domanda corretta.
Eppure non ho bisogno né di convincere né di convincermi.
Non ne ho necessità.
La mia volontà è prigioniera : non rispondo del mio agire giacchè esso non mi appartiene.

C’è stato un tempo nel quale potevo definirmi libero,se libertà s’intende non possedere altro motivo d’esistere se non effimeri piaceri.
Ma gli Dei immortali decisero di essere generosi e stabilirono di imprigionarmi in una gabbia di sangue e acciaio.

Mi donarono dolore.

E fu allora che mi diedero uno scopo.
Come immerso nello Stige, i Numi mi chiamarono a nuova vita battezza mdomi nel sangue.
Da allora vedo chiaro il mio destino, libero dalla scelta,prigioniero dell’azione.

Danzo come menade, ebbro,rapito.
Privo di discernimento ,obbedisco al comando antico che mi lacera il ventre, mi scioglie i legamenti, mi costringe i muscoli roridi di sforzo.
Eppure sono caro agli Dei.
Mi hanno strappato il velo della felicità nell’istante più puro sicchè esso s’è impresso a fuoco in ogni anfratto dell’animo, in ogni stilla del mio sangue,in ogni movimento del corpo.

E gli Immortali non mi abbandonano.
Accostano alla mia bocca il nettare più dolce quando il ferro ardente si imbeve di sangue.
Fanno palpitare il mio cuore in una cosita rovente.
Illuminano i miei occhi di bagliori vermigli.

Non necessito di motivi né di ragioni.
Nulla chiedo.
Nulla chiedete.

Non chiedete perché la peste dilaghi o brucino i campi.
Non chiedete perché io combatto.
--Pantasilea
La nave era salpata, aveva mollato gli ormeggi nella mattinata, prima che il sole raggiungesse lo zenit.

La donna cammina sul ponte, vedendo la città diventare sempre più piccola.
Decide di entrare in cambusa, per prendersi un boccale di birra.

E tu chi sei? - disse rivolta all'altra persona presente nella taverna.
Beh io.. - la ragazza, di un'età non ben definita, cercava di tergiversare.

Hai preso accordi con il capitano per il tuo imbarco?- domandò Pantasilea.
Si, si col capitano - risposte la ragazza.

Proprio in quel momento entrò nella stanza il Capitano, che salutata Pantasilea con un cenno della testa, si rivolse all'altra donna: E questa chi cacchio è?
Dice di aver preso accordi con te....
Ah si?


Entrambi portarono le mani sull'else delle proprie spade.
Il Capitano iniziò ad interrogarla su chi fosse, cosa ci faceva sulla nave e dove fosse diretta.
La ragazza cercava di rispondere nel modo migliore per salvarsi la testa.

Dopo diversi minuti, il Capitano prese in disparte Pantasilea, ed iniziarono a bisbligliare.
Secondo te.. ce la fa a reggere una spada? - chiese l'uomo.
Ha braccia robuste... - rispose la donna.

L'uomo, rivolgendosi nuovamente alla clandestina, chiese se poteva pagare il prezzo del biglietto di imbarco. La ragazza cercò di mercanteggiarlo con alcuni beni in suo possesso.
Dopo diversi minuti di contrattazioni, la faccenda si risolse.
La donna avrebbe ripagato il prezzo del mancato biglietto, unendosi a loro e imparando a tirare di spada.

Il viaggio non sarebbe stato corto. Tempo per imparare ne avvrebbe avuto...
--Latrodectus
Lo scender ne l’Averno è cosa agevole
Ché notte e dì ne sta l’entrata aperta;
Ma tornar poscia a riveder le stelle,
Qui la fatica e qui l’opra consiste.



Viaggiare apre la mente, non solo perché ti pone davanti nuovi luoghi, concetti, usi; è soprattutto un portale sulla propria memoria, dove concetti, luoghi, versi dimenticati riaffiorano e ti pongono davanti le dolorose scelte di una vita e ti danno una misura dell’estraneità a quello che eri quando per la prima volta ti eri accostato ad essi.
Una volta lei era una giovane donna che amava, che aveva sogni, speranze, illusioni come tutti. Ora non era che un guscio vuoto, desideroso di annegare nell’oblio e incapace di raggiungerlo.

Si erano mossi nella rugiada mattutina con fare impaziente, un gruppo piccolo e all’apparenza innocuo.

-Ma non siamo un po’ pochi per…?- aveva domandato esitante.

Lui aveva risposto laconico, come suo solito:


-Andiamo avanti a dare un’occhiata, apriamo la strada per gli altri che arriveranno.-

Terre familiari dapprima, estranee e straniere poi, venivano calpestate dagli zoccoli dei cavalli, giorno, dopo giorno, dopo giorno. Idiomi incomprensibili si susseguivano nelle loro orecchie mentre i giorni passavano. Locande e accampamenti sotto le stelle o la prima pioggia d’autunno, una scodella di minestra calda e qualcosa di forte da bere quando era possibile. Parlavano poco, non avevano molto in comune se non il lavoro per cui tutti erano pagati: non che fossero ostili o mancasse tra loro la cortesia o il cameratismo, erano semplicemente troppo distanti per riempire quel silenzio.
E intanto si avvicinavano alla zona che avevano concordato come punto di ritrovo. Una volta raggiunta, non sarebbe rimasto che attendere chi aveva commissionato il lavoro, con il resto degli ingaggi.


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Latrodectus
--Cridhe_gaidligh
Il capitano aveva concesso il riposo già da un'oretta, e lungo la battigia limitrofa all'arsenale della città, un drappello di armati, stanchi e dagli occhi vitrei mangiavano distrattamente il proprio pranzo frugale.
Il reggimento si era arricchito di un paio di elementi durante il viaggio. Tutti ben motivati.

Anche lui, appostato sullo scoglio, divideva il suo pane raffermo con il suo falco. Quando ebbe finito si alzò senza dire una parola e si diresse verso il porto per cercare una nave in particolare.
Le voci della folla sulla banchina rimbombavano sordamente nella sua testa mentre ondeggiava nella sua andatura come da ubriaco. Fissava le imbarcazioni ormeggiate, tentando di riconoscere quale sarebbe stata quella che li avrebbe traghettati, come Caronte, giù nell'inferno.
Vide l'armatore a lavoro vicino il sartiame.
Sorrise. Si gettò sul ponte d'imbarco e lo salutò con una stretta di mano.
Era un uomo alto, ben piazzato e muscoloso. Non più giovanissimo, ma nonostante ciò non cessava le sue scorribande tra i boschi del Nord Italia.

"Allora? Sei dei nostri?", disse andando dritto al sodo il Capitano.
"Avevi dubbi?", rispose il proprietario della Galea, e mentre diceva portò una mano sulla spalla del cavaliere accompagnandolo nella cabina di comando.

Su un tavolo in legno mangiato dalle tarme c'erano distese diverse mappe e strumenti di calcolo. Era evidente, dal disordine, che non era troppo ferrato in materia.

"C'è la rotta da fissare... come vedi non sono troppo pratico", affermò laconico.
"Non è un problema, me la cavo abbastanza bene", fissando al di fuori della cabina la superficie piatta del mare.
Pensò che era meglio avviarsi il più presto possibile, prima che le condizioni potessero peggiorare.
Non fece in tempo ad alzarsi, che l'altro uomo si alzò e riempì due bicchieri di acquavite.

"Che la fortuna ci assista allora", disse l'armatore spingendo il piccolo bicchiere in alto.
"A noi", replicò cozzando il suo bicchiere con l'altro, prima di scolare il liquido trasparente che bruciava come una palla di cannone in pieno petto.

Si congedò, e ritornò sulla spiaggia.
Non barcollava, nè tremava più mentre sembrava lievitare sulla sabbia.
Come un fantasma.
--Rilke_stuart


***Io, la Vedetta, l'illuminato, guardiano eterno di non so cosa, cerco innocente o perché ho peccato, la luna ombrosa.***

Il cannocchiale vagava da nord a est, in cerca di una costa ben precisa.
La lente ogni tanto rifletteva barbagli di luce sfolgoranti, che apparivano e scomparivano in modo repentino.
Nella lente compariva un porto.
"Non è quello... ma ormai abbiamo comunque sorpassato lo scalo... dannazione."
Si rodeva il fegato per la rabbia e la delusione. Tristezza infinita ed ira profonda si contendevano il suo cuore.

"Ma dove è mai stato scritto che si abbia a vivere come gli eroi omerici? Ai pagani queste infelicità! Sembra che un Olimpo sia contro di me!"
Con una mano artigliava il legno della balustra sulla quale si appoggiava, ma dentro di se avrebbe voluto morderlo e strappare via a brani la fasciatura del veliero.
Dirigendo la sua visuale ad oriente, scrutò un vascello che li seguiva a qualche lega di distanza.
"Sono i nostri che ci seguono."
Tolse un attimo il suo strumento, cercò qualcosa che galleggiva fra le onde del mare (lui sapeva cosa); lo trovò; riprese il cannocchiale e guardo in direzione dell'oggetto: era una cassa di ridotte dimensioni; lui stesso l'aveva gettata a mare, ore prima.
Poggiò la potente lente su una sedia che teneva lì vicino e rimase a guardare l'ombra indistinta della cassa che, allontanandosi, scompariva e ricompariva frai flutti delle onde.
Lo sguardo fisso, le braccia conserte, il corpo piegato in avanti, ad appoggiarsi totalmene sulla balaustra... sognava ad occhi aperti l'oggetto giungere ad una riva ben precisa, e lì farsi trovare semplicemente.

Si rimise eretto, con la testa rivolta verso il cielo e gli occhi chiusi. Aveva in volto un'espressione serena e beffarda al tempo stesso.
Eheheh... sì, sarebbe molto... molto giusto. Quasi un evento riparatore, sì.
Il sole continuava a splendere, il vento continuava a soffiare ed i capelli ancora vibravano in sintonia con esso.
Tutto sommato, non si stava poi così male lì, a poppa di una nave nel Mediterraneo.


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--Spirito_dionisiaco


Ogni persona ha la propria chiamata e un viaggio eroico da compiere. Un viaggio misterioso e affascinante, che non garantisce risultati esterni, ma altre impagabili ricompense...



Sotto un cielo plumbeo, pesante come un sudario, camminava desolato lungo la via che lo conduceva alla fucina. Giorno dopo giorno il rintocco delle campane si rincorreva per le strade della città rendendogli, con la loro monotona risonanza, ancora più soffocante quelle alte mura di cinta che lo tenevano chiuso in una sorta di gabbia dorata. Trascinandosi tediosamente per quelle strade, che oramai conosceva così bene da poterle percorrere ad occhi chiusi, continuava a rimurginare incessantemente su ciò che l'affliggeva...

Tutti noi abbiamo i nostri demoni, tutte le volte che rinunciamo a fare qualcosa che ci piace per paura di apparire inadeguati, quando sopportiamo condizioni senza reagire, quando rinunciamo alle nostre idee per amore di qualcuno, quando abbandoniamo le nostre aspirazioni e ci rassegniamo nell'insoddisfazione… i demoni hanno vinto la partita.

Ne era sicuro se, nonostante la paura, avesse deciso di affrontare un viaggio avventuroso all'interno di un territorio sconosciuto, dove hanno luogo le sfide e dove si sarebbe compiuta la sua trasformazione, allora sì che avrebbe sconfitto i propri demoni. Era giunta l'ora in cui, nonostante i pregiudizi degli altri, doveva avere il coraggio di seguire la propria vocazione e di fare della vita il proprio viaggio. Un viaggio difficile, che sarebbe iniziato nel momento in cui avrebbe varcato la soglia che divide la via vecchia da quella nuova, e dove tutto sarebbe potuto succedere, un viaggio che l'avrebbe portato lontano dalle sue sicurezze, dai suoi amici, dalla sua casa, dai suoi amori.
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