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a caccia di Fantasmi

Ilsebill
Ilsebill cammina, tanto per cambiare, quelle gambette secche ne hanno macinati, di chilometri, pestando strade lastricate di pietre in città importanti e mulattiere di campagna, muschio e aghi nell'assenza di tracciati dei boschi, vicoli stretti fatti di ciottoli male accostati, e questo è un altro fangoso sentiero fra boschi e campagna.
Lo stomaco le brontola inutilmente perché oggi ci sarà metà razione di cibo, e per protesta comincia a duettare con il cervello; un dialogo fatto di richieste pressanti da parte del ventre che chiede di essere riempito, e di tentativi di distrazione da parte della mente, fantasticherie infantili e grandiosi progetti di futuri impossibili, di quando avrem i soldi, ci compriamo una gran nave, ed un cappello a larghe falde, e magnerem da mane a sera enormi bistecche, pesci succulenti, e frutta e verdura dolzissime, troverem un gran alchimista capace di far viaggiar la nave pure in aria... in Oriente, Bill, lì c'hanno gran scienza, fan sparire le taverne in un battibaleno, e scommetti che pure fan volar le navi? Immagina la tua nave, che la chiamerem Il Rombo, Bill, e che voli su le teste de li pretacci, t'immagini il terrore che avranno in panza pensanti che sei la creatura senza nome?

Il compagno di viaggio la segue silenzioso, senza accorgersi del dialogo schizofrenico che si svolge all'interno della bestiolina lurida con cui viaggia. Non parlano molto, nessuno dei due, trovando in questo un punto in comune per andare d'accordo.
Sopportarsi può essere molto difficile, e loro di strada assieme ne hanno già fatta tanta: se fossero più chiacchieroni, avrebbero di certo già litigato.

Il sole comincia ad arrossare il cielo, e ci si vede meglio finalmente- perché si viaggia sempre di notte qui, questa curiosa vita ha scelto così, qualunque ora della giornata sia scelta per la partenza, sarà l'alba successiva a vedere il termine del viaggio; il sonno pare essere non necessario, o chissà, forse qui si dorme in piedi, come i cavalli.

Ilsebill si volta verso l'uomo che viaggia con lei, pronunciando le prime parole della giornata- e potrebbero anche essere le ultime per oggi- la permanenza in Svizzera ha contribuito a pasticciare il suo modo di parlare, come se ce ne fosse stato bisogno.

Ecco Parma e il suo vergero! Proseguiam diretti o ne fermiamo?
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Leenie
Ovviamente non lasciavano che si alzasse, anche lei al loro posto l’avrebbe fatto.
Liriel sapeva che stancarsi non era una buona idea, ma la noia creava una forte tentazione.

Era un male dolce, tutto sommato. Le crisi di febbre, ogni tre giorni circa, la lasciavano spossata, ma non poteva dire che si sentisse davvero male. E quando la febbre arrivava la induceva a dormire o comunque non la lasciava abbastanza cosciente da preoccuparsi.

Così passava dal sonno alla veglia, alla noia all’oblio, tormentando le lenzuola che poi qualcuno premurosamente le sistemava. E c’erano i sogni, vividi e insensati come sono spesso i sogni in questi casi. Di solito non li rammentava, ma l’ultimo che aveva fatto le era rimasto impresso nella mente. E riguardava tutti loro, la Brigata Fantasma, com’erano in un tempo che pareva tanto migliore, seduti intorno ad una grossa tavolata a mangiare arrosti succulenti e grosse fette di pane e formaggio, francese, ovviamente.

E Liriel si augurò di poterli rivedere un giorno, quelli che erano rimasti e quelli che sarebbero venuti.
Spesso sentiva intorno a sé delle voci preoccupate, soprattutto quando credevano che dormisse e non fosse in grado di sentire. Parlavano di farla rimpatriare in Italia, dove il clima sarebbe stato più favorevole ad una eventuale ripresa e dove forse le conoscenze mediche erano migliori, ma lo dicevano senza molta convinzione.

Si rigirò un’altra volta nel letto e disse sottovoce a sé stessa:

Non morirò, non ci contate, dovrete sopportarmi ancora per un po’. Mi mancate…
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Samiro
Il sole splendeva alto in un cielo privo di nuvole, la giornata era afosa, ma oramai il momento era giunto nulla e nessuno poteva fermare quello che si erano promessi di fare.
Samiro con fare frenetico, caricava il suo carretto di tutte le vettovaglie una volta finito il duro lavoro, si lasciò cadere a terra appoggiando la schiena alla ruota del carro, riparandosi dal sole cocente.
La sosta duro pochi attimi, giusto il tempo per tirare il fiato con un movimento goffo e la lentezza dei suoi movimenti Samiro si alzò in piedi, iniziò a trainare quel carretto verso il luogo dove riposava Liriel.
Entrò sbattendo la porta, e avvicinandosi al capezzale della fanciulla, che si girò sul fianco mormorando qualcosa, Samiro la sollevo dalla branda contro il volere di chi si era preso cura della giovane fino a quel momento, ma era tutto inutile lui non ascoltava nessuno.
Cosi con modi poco ortodossi stesse Liriel per modo di dire sui sacchi di cereali, coprendola a malo modo esclamò:

“che creatura deboli che sono queste femmini”

E ritornò a trainare il suo carretto sulla strada che portava fuori dalla città.
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-Senza parole-
Ilsebill
Un'altra bella giornata passata nel frutteto. Ilsebill siede a terra guardando il sole scendere, mangia una mela sputacchiando sul terreno di Fornovo.
Qualche sbadiglio, poi prende pigramente la scala e si incammina verso la città. Prende un vicoletto secondario che puzza di piscio, silenzioso come le altre vie più grandi; Fornovo non è una città molto vivace.
Dopo aver svicolato spinge la porta lurida di una bettola e vi entra, si guarda attorno: ecco il suo compagno di viaggio, l'uomo biondo con il ciuffo, le fa un cenno e lei siede al suo tavolo, dove ci sono altri due uomini, uno vestito con cura, l'elmo posato accanto al boccale di birra, il secondo moro tutto in verde, quello moro lo conosce meglio perché mesi prima si sono presi in giro a lungo.
Gli occhi le brillano mentre siede al tavolo ed afferra la birra che l'aspetta da un po'. Eccoli qui i primi due fantasmi ritrovati Bill... si ricomincia, si ricomincia!

Un brindisi suggella un accordo non scritto ma evidente dagli sguardi che i quattro si scambiano. Parlano per un po', un po' di progetti qui e là, e poi si decidono.

Escono dalla taverna, e si salutano; il biondo col ciuffo da una parte, gli altri due seguono Ilsebill, i loro occhi brillano come monete rubate nella tasca di un ladro.
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Ilsebill
    E'una notte cupa e nera
    che mi vede ancor in viaggio
    ne la terra del groviera-
    no, era altro il suo formaggio...
    Ma oramai me l'ho scordato,
    so soltanto ch'era buia,
    quella notte in cui un soldato
    pur gridando un' "Alleluja"
    m'ha infilato nella panza
    un buon braccio de la spada:
    dolorosa circostanza,
    che fermata m'ha la strada
    a raggiunger lo mio sogno
    d'una sfida più suprema
    -quest'è quel di cui ho bisogno!-
    cioè la sfida con la crema
    del poter umano in terra:
    dopo il gran Imperatore
    i'volevo far la guerra
    a un potere non minore
    e cioè proprio a la Chiesa.
    Ma ahiomè! Già m'ha fermato
    sta ferita che m'ho presa
    prima d'aver cominciato.

Ilsebill si sveglia grondante di sudore, un incubo, si stanno diradando ma ci sono ancora. Preme la mano sul ventre, la cicatrice fa male, quando ci pensa, solo quando ci pensa, è tutto nella sua testa il dolore. Sono altri fantasmi questi, diversi da quelli che cerca, le urla dei morti delle crociate, la lama che le aveva impedito di andare a sfidare la Chiesa, Losanna e la convalescenza forzata, e poi ancora il sorriso gentile del comandante svizzero, che bella donna era, e rifiutava il suo arruolamento. Non aveva vissuto una storia da raccontare, come desiderava, ma qualcosa da scordare.

Le braci sotto la cenere sono ancora calde, sono nascoste per evitare che altri passanti le vedano, ma Ilsebill sa che ci sono, si avvicina e si scalda perché anche se è una notte di aprile le temperature calano rispetto al giorno.

Un fischio sottilissimo le fa capire che è il momento giusto di svegliarsi, e che non solo può, ma deve proprio lasciarsi alle spalle i fantasmi della crociata; impugna il bastone, corre attraverso i cespugli e poi, tutto accade così rapidamente, è una donna sola, la fermano, lei tenta di ribellarsi, ma loro sono in tre e sono più forti. La fermano e le frugano le tasche, rivoltandola come un calzino. Peccato che non serva: nelle tasche della donna non c'è niente di niente. Qualcuno l'ha già derubata prima di loro.

La lasciano andare e tornano un po' dispiaciuti al focolare.
Ilsebill e l'uomo dai capelli neri siedono e rigirano le braci per riattizzarle: è quasi giorno, è difficile trovare altri viaggiatori ora; si scambiano un po' di opinioni sul da farsi, su dove si trovi quello che ha derubato la donna, se conviene spostarsi o no, decidono i turni di guardia, e poi i due uomini si addormentano, mentre Ilsebill stanca di dormire aspetta il sorgere del sole. E' uno spettacolo splendido, il cielo che da blu diventa indaco e poi biancastro, mentre il disco rosso fa la sua comparsa portando con sé tutti i colori che mancano alla notte.
Una piccola consolazione per aver perso la nottata.
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Lon
Di nuovo notte.Lon e quella strana ragazza che vuole passare la vita a sfidare chi detiene il potere e ne fa un ingiusto uso chiacchierano.Lon ha dei vestiti che si confondono con i cespugli,lei li ha di colori sgargianti,ma se anche si riuscissero a mimetizzare il loro tanfo e quello della proprietaria rivelerebbero la loro posizione a chiunque.Non che lui si lavi spesso,ma crede che lavarsi in un ruscello una volta per luna lo aiuti a passare inosservato.E poi gli fa tornare in mente la sua infanzia nella Serenissima e lo fa pensare. Lon di notte pensa,pensa alla vita passata,agli amici di cui non ha notizia,al padre in viaggio per chi sa dove.E pensa a lei,che un tempo viveva come tutti gli altri e il cui corpo ora è sotto terra,l'anima non si sa.
Questa volta il terzetto si è fatto più furbo,il Biondo è dall'altra parte del sentiero,lui e la Strana sono in attesa fianco a fianco.Come la notte prima,rumore di lotta.Passa zoppicando un ragazzo vestito di stracci,il respiro pesante di chi ha appena passato un brutto momento in un sentiero di campagna mentre avrebbe desiderato stare al riparo delle mura del suo tugurio in qualche città.
Lo lasciano passare,e dopo alcuni minuti ecco un'altro tipo di passo,quello sicuro di sè di chi è convinto di cavarsela in ogni situazione,un uomo riccamente vestito e con un luccicante bastone in mano.Gli saltano addosso,silenziosi.Non cerca di difendersi:consegna senza fiatare il poco che ha e corre via.
Il Biondo si corica e dorme,la Strana scompare come tutte le notti per andare a dormire in qualche anfratto nel bosco e lui si apparta dietro un cespuglio,per liberare lo stomaco dopo il pane ormai secco mangiato quel giorno.E' così che non nessuno dei tre sente passare quelle cinque persone con ricche calzature di cui trovano le tracce soltanto alla mattina.

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Ilsebill
Un altro giorno di tentativi infruttuosi. E menomale che qualcuno li chiamava "soldi facili"!
I furti sulle strade richiedono pazienza, organizzazione, fortuna.
Se hai la sfortuna di incontrare una persona che si rivela avere le tasche vuote, hai perduto il tuo tempo a seguirla, mentre magari potevi riuscire a recuperare i denari di qualche viandante più bene in arnese.
Un tentativo al giorno, si può fare, queste sono le umane prerogative, e se va male, hai perso la giornata, e consumato altre scorte di cibo che non hai recuperato.
Ilsebill pensa che se fosse andata a pescare, avrebbe guadagnato meglio. Lo pensa ma non lo dice, mentre cammina silenziosamente a poca distanza dai compagni.
    Ah Fortuna, cara e bella,
    un tuo baso i'ho aspettato,
    che peccato che la Jella
    al tuo posto m'ha basato;
    anzi, amante appiccicosa,
    qui a noi tre ci s'ha attaccata,
    quasi che la sia gelosa,
    che la voglia esser sposata...

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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
will nich so, as ik wol will.
Ilsebill
La barchetta per pescare è in legno leggerissimo, una piuma, un fuscello, un mazzetto di paglia legata; non ci si può allontanare troppo dalla riva, altrimenti le onde la porterebbero via.
Ecco perché la navigazione in mare o via fiume non richiede le barchette da pesca, ma chiatte o galee, o cocche o caracche, con scafi ben più ampi e robusti.
Ilsebill rema, allontandosi il più possibile dalla riva per trovare le zone migliori del bacino acquatico; la pesca è un'attività che ha sempre trovato fascinosa, seppure lecita e non fastidiosa per altri.
Parla regolarmente con le prede che abboccano al suo amo, come dei confidenti di cui ci si può fidare davvero (e perché mai, altrimenti, si userebbe il termine "muto come un pesce"?) e chissà mai se trovasse davvero il rombo della favola, quello in grado di esaudire i suoi desideri in cambio della vita risparmiata.
Uno dei compagni è rimasto indietro, dev'essersi perso, hanno deciso di aspettarlo, e così a Massa lei e il ricciuto verdevestito hanno atteso il terzo, ed ora attendono di vedere se si recupera anche il quarto. E poi, non lo sanno ancora, poi si vedrà che fare. Intanto, meglio non farsi troppe domande, e concentrarsi sul pesce, che abbocchi, una cena decente almeno, e quello in esubero venderlo per farsi scorte di cibo più economico. Perché una cosa è sicura: loro sono a caccia di Fantasmi, con la f maiuscola, non si fermeranno finché non li avranno radunati tutti, e poi, una volta radunati... poi, si vedrà che fare.
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
myne Fru de Ilsebill
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Samiro
Finalmente dopo tanti giorni di mare aperto la terra ferma, era giunto il momento di sbarcare, cosi esclamo il capitano della galea, Samiro obbedì si recò sotto coperta, caricò in spalla Liriel e trainando il suo carretto nel cuore della notte sbarcò, assieme a loro era sceso un altro tizio ma durante tutto il viaggio lui e Samiro non si erano mai parlati.
Appena scesi in città Samiro, si preoccupo di trovare un luogo dove far riposare Liriel, trovò riparo in un fienile abbandonato vicino alla città, dopo di che all’alba, si sveglio per andare a cercare del cibo e mentre si trovava sul viale che portava al mercato, gli si avvicinò una donna:

“piss piss, Ehi voi!”

Samiro voltandosi non vedendo nessuno pensò:

“maledizione…sto ritornando ad ascoltare la vocine”

“ehi gigante sono qui, guardate sotto il vostro naso, se mi toserete le pecore, sono disposta a pagarvi una lauta ricompensa”

Samiro guardando la giovane fanciulla, esclamò:

“Oh guarda che io sto solo uno e sono Samiro lo contadino della Pola città, non mi chiamo gigante, però se mi state pagare pe tosà gli pecori tue, mi sta anche bene sa?!”

Nel viso della donna si dipinse una strana espressione, scuote la testa rimanendo basita, e dopo pochi attimi balbettando qualcosa fece strada a Samiro, portandolo all’ovile.
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-Senza parole-
Leenie
Liturgia della ore – parte I
Mattutino


Le voci mormoranti colsero la donna addormentata nel sonno, insinuandosi in esso e trascinandola come una corrente verso il risveglio.

Liriel si rigirò nel letto e riconobbe le parole imparate tanto tempo prima, quando era bambina e pensava che il mondo fosse un luogo degno in cui vivere. Ora non ne era più tanto sicura, ma tanto aveva una malattia che avrebbe compiuto la scelta in sua vece, fra la vita e la morte.
E le sue ultime ora su questa terra, forse, le passava ad udire le voci alte e nasali delle suore che scandivano i salmi, ben prima che il sole si levasse, nella prima delle numerose preghiere della giornata, senza che per lei avessero nessun salvifico significato. E tuttavia lasciavano le porte aperte perché tutti, anche i malati, beneficiassero della preghiera.

Liriel si mise supina, da girata sul fianco che era, e si guardò attorno. C’era una candela accesa, una brocca d’acqua, un catino pieno di pezze nel tavolino a fianco al letto. Per il resto un baule per riporre gli abiti, un gancio per appendere il mantello, una sedia e un inginocchiatoio, questo era quanto conteneva la piccola stanza.
La candela, il catino e la brocca erano evidentemente ad uso della suora che l’aveva assistita durante la notte di febbre, e di cui non conservava più alcuna memoria. Anche del suo arrivo al monastero di Gaeta, conservava in verità ricordi confusi: si ricordava Samiro che la caricava a braccia su un carretto, e in rapida successione lui che parlottava con una suora salutandola poi frettolosamente.
Ancor più confusi erano i ricordi del viaggio il mare, la febbre confondeva il prima e il dopo, lasciando solo la traccia della nostalgia per il marito… chissà dov’era ora.

Sospirò e si mise seduta. La testa le girava leggermente e sentiva le membra pesanti. Nonostante avesse dormito a lungo, era stanca. Bevve un po’ d’acqua e si passò uno dei panni imbevuti sul volto sudato. La febbre, come sempre, sarebbe risalita di lì a due giorni, se non ci fossero state novità. Chissà se queste suore potevano fare qualcosa, i suoi rimedi erano falliti tutti.

Le voci provenienti dal corridoio andavano scemando e Liriel tentò di riprendere il filo del sonno. Sentiva ancora acuta la nostalgia per il marito e i compagni. Dove erano ora, cosa stavano facendo? Sapevano che lei si trovava lì?
Ripensò al sogno che stava facendo, in cui il fantasma di Tergesteo andava a trovare Mistic e Morphea in Albania e attraverso di loro le comandava di riunire i Fantasmi… la nostra mente ci gioca a volte proprio dei brutti scherzi.
Ora dormiva di nuovo, almeno finché non l’avesse risvegliata la prossima preghiera.
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Leenie
Liturgia della ore – parte II
Laudi


Le lodi mattutine, all’alba, erano il segnale della sveglia, anche per i malati.
Appena l’ultimo canto si spense, fece capolino una suora, grassottella e dall’aria gioviale, sorrise a Liriel e disse allegramente:

Madonna,è un vero piacere vedervi sveglia! Su venite, avete tempo fino all’ora Prima per lavarvi e sistemarvi, poi verrà servita la colazione. Se non potete scendere in refettorio, ve la porteremo qui.

Era evidente che Liriel non potesse scendere, anche per scendere dal letto e lavarsi ebbe bisogno di un iniziale sostegno del braccio grassoccio della donna. La qual cosa la irritò e la rese anche triste. Si lavò la faccia nella catinella, dopodiché la suora la accompagnò alla sedia vicino alla finestra, e ve la installò sopra fintantoché ella rassettava il letto. Liriel ci si accoccolò con la consueta grazia, tirando su un piede sulla seduta e abbracciandosi il ginocchio con le braccia, l’altra gamba penzoloni, del tutto dimentica della possibilità di indossare sottane.

Madonna…mi dite il vostro nome?

Liriel.

Che razza di nome è? I vostri genitori da bravi fedeli vi avranno dato un nome più umano!

Ve lo dico se promettete di smettere di chiamarmi “madonna”.


L’altra annuì stupita, non sapendo bene con chi aveva a che fare, ma a Liriel tanto bastò.

Costanza.

Bene Costanza, siete stanca? Volete tornare a letto? Il medico che viene tutti i giorni al monastero dalla città passa solo molto più tardi, dopo colazione. Il vostro caso gli è già stato sottoposto, oggi vi visiterà e stabilirà cosa dobbiamo fare con voi.

No, vorrei scrivere qualche missiva, manco dal suolo italico da così tanto tempo…

Non serve che stiate in piedi per questo, vi porterò il necessario e un leggio.


Liriel cercò di nascondere, anche a sé stessa, il proprio sollievo di fronte a tale prospettiva, irritata ancora una volta dalla propria debolezza.
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Leenie
Liturgia della ore – parte III
Prima


La fine delle orazioni dell’ora Prima segnarono un nuovo ingresso della suora grassa, Suor Gertrude, con il vassoio della colazione. La cuoca ce la doveva aver messa davvero tutta per stimolarle l’appetito: pane fresco, burro appena fatto, focaccine al miele, una tazza di latte tiepido.
Liriel deglutì. Si sentiva lo stomaco annodato e sapeva che la mancanza di appetito non era affatto un buon segno. Si sforzò di mangiare quanto poteva, nessuno ha mai avuto alcuna speranza di guarigione a digiuno. E lei era disperatamente stufa di essere malata.
Nonostante ciò, quando venne a riprendersi il vassoio, Suor Gertrude non sembrava per nulla soddisfatta di lei, e se ne andò brontolando.

Intorno a lei, sentiva pulsare la vita operosa del convento. Nelle ore centrali della giornata le suore si dedicavano alle più svariate occupazioni, dall’orto, alla confezione degli abiti, alla cucina all’assistenza ai bisognosi, mentre la parte contemplativa della vita monastica allentava la propria morsa a “solo” una funzione ogni tre ore. Lei fortunatamente era dispensata sia dalle une che dalle altre, o potremmo piuttosto dire “sfortunatamente” vista la motivazione.

E finalmente fece capolino nella stanza quello che doveva evidentemente essere il dottore. Salutò urbanamente, poi la visita cominciò. Le rovesciò le palpebre, sentì il polso, le appoggiò l’orecchio sulla schiena per sentire il respiro, poi emise la sentenza:

Ci avete preso in pieno, madonna. Trattasi di febbre terzana, e faremo tutto il possibile per aiutarvi. Innanzitutto, ordino per voi riposo assoluto, a letto, anche nei giorni in cui non avete la febbre, salvo una visita al giardino, e solo nei giorni tiepidi e soleggiati, il pomeriggio. Non voglio sentire di passeggiatine non autorizzate. Secondariamente, dovete sforzarvi di mangiare, ma questo immagino lo sappiate anche voi. Ed ecco la terapia: do alle suore delle erbe da bruciare in un braciere, nella vostra stanza, un’ora la mattina, dopo colazione. Vi darà sonnolenza e potreste fare degli strani sogni, ma non temete. La sera invece dei bagni con altre essenze, tre volte la settimana. E vi do un tonico da prendere ogni mattina e dei rimedi per gli attacchi acuti di febbre. Proviamo così per una settimana, e vediamo come va.

Liriel annuì e ringraziò il dottore. Cosa aveva da perdere?
Fu dunque portato subito il braciere e lei rimase sdraiata,a respirarne i fumi, pensando che era stata comunque fortunata a non incappare in un qualche ciarlatano fanatico dei salassi.
Provò dapprima un leggero senso di nausea, l’odore delle erbe era dolciastro e penetrante. Le parve che i contorni delle cose nella stanza si facessero meno netti, come inchiostro che si scioglie nell’acqua.
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Leenie
Liturgia della ore – parte IV
Terza


Dalla nebbia giallastra e putridamente odorante di zolfo emersero i contorni di una vasta sala di mattoni bruniti. Alle pareti solo una miriade di torce, intorno al bordo del pavimento correva indisturbato un torrentello di lava e da recessi misteriosi si udiva un organo che suonava sempre le stesse battute del Dies Irae.
E improvvisamente Liriel si trovò imprigionata in una gabbia di fiamme e si materializzò davanti a lei qualcosa di paurosamente simile ad un’aula di tribunale. Piantata saldamente sullo scanno del giudice, avvolta in un’assurda toga nera stava Morphea, e girandosi si accorse che aveva preso la parola il Pubblico Ministero, incarnato nientedimeno che da Legio nelle sue peggiori condizioni di sobrietà.

Ehi ma… sono sicura che Morphea abbia fatto il Giudice, ma altrettanto certa che Legio non abbia mai fatto il Pubblico Ministero! Deve esserci un errore.

Silenzio in aula!


Il ringhio feroce e il frenetico battito del martelletto azzittirono l’imputata, mentre principiava la requisitoria.

Signori della corte, siamo qui riuniti per giudicare l’anima di una peccatrice. Una donna infame guidata da uno spirito intimamente litigioso, antipatico e capace di scassare la m… a qualsivoglia malcapitato voglioso soltanto di soddisfare i piaceri della carne in un luogo pubblico come la taverna! … Cazzucazzu!

Liriel, stupita dall’eloquio sfoderato da Legio si rassicurò di fronte a quest’ultima familiare espressione, al punto che si scordò quasi di lanciare un’occhiata preoccupata alla giuria.

La maggior parte dei volti presenti le erano ignoti, ma io vi dirò chi erano, ovvero i peggiori fantasmi e le più vecchie mummie che siate in grado di concepire: Sciamano presidente ovviamente della giuria. Misery e Marcolando annoiatissimi perché una volta tanto Modena non c’entrava niente. Ippolita, sollevata che per una volta l’imputata non fosse lei. I tre porcell… ehm , pardon, il trio dei fantasmi riesumati dal Biografo al gran completo, ovvero Vencespurgante, con le dita sporche di inchiostro mentre prendeva appunti, Carismatica78 in un abito giallo dalla procace scollatura intenta a far gli occhi dolci a Illimino che stava fra il pubblico, e una Danitheripper seccatissima di essere stata chiamata in causa, intenta ad annodarsi un orrendo foulard (non mi risulta fosse famosa per il buon gusto nel vestire) intorno al collo perché non si notassero i segni della corda. Il generale Rincolo de’ Medici che si trovava lì solo perché gli era stato promesso un rinfresco a base di porchetta e finocchiona. Scilaii, che invece si trovava lì solo perché le era stato permesso di portare le crostate per il suddetto rinfresco. Apuano80, che mi farà causa per averlo tirato in mezzo e che aveva già deciso per la colpevolezza dell’imputata, e per il resto tentava invano di flirtare con Carismatica. Caleblost e Margab che si trovavano lì solo perché entrambi erano stati allettati dalla promessa di denaro e perché ognuno di loro contava di avere occasione per uccidere segretamente l’altro e farlo sparire.

… e con questo ho concluso, Marfy. Vostro onore, ho concluso vostro onore.

Sai dove te lo puoi ficcare quel vostro onore, vero?


Liriel aveva l’impressione di aver vissuto quella scena già altrove e in altre circostanze, e la sensazione era così forte da farle quasi dimenticare la sua disperata situazione. Inutile dire che in un processo di tal guisa non è prevista la replica della difesa, indi per cui si passò direttamente alla sentenza. Sciamano, avvolto nel mantello perché ormai anziano, si avvicinò in punta dei piedi e con espressione schifata allo scanno del giudice e le passò in punta delle dita il più velocemente possibile il verdetto della giuria, tornandosene poi al suo posto.

Il Giudice lesse con voce terribile:

Questa corte giudica l’imputata colpevole di Assalto, Brigantaggio, Alto Tradimento a tutti gli Stati italici, Villipendio alle Frontiere e Piagnisteo Reiterato, e la condanna pertanto ad assistere a cinque matrimoni a piacere tra Abruzzo e Terra del Lavoro.

I battiti del martelletto si trasformarono in rintocchi di campana, che risuonarono dodici volte.



Liriel si risvegliò di soprassalto al suono di campane che chiamavano alla preghiera di metà giornata, la Sesta.
Ricordava solo confusamente il sogno, ma provò conforto a rivedere la sua stanzetta al monastero e si domandò preoccupata se anche il resto della cura sarebbe stato così spaventoso. Con un brivido improvviso si avvolse nelle coperte e attese l’inevitabile ingresso di Suor Gertrude con il vassoio del pranzo.
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Ilsebill
Lla campagna fiorentina in primavera è bellissima per un viandante che cammini fra i sentieri, ma godersi lo spettacolo è momentaneamente difficilotto causa preoccupazioni incombenti.

Stiam andando troppo vicini? Dove sta Firenze?

Dovrebbe essere dietro quella collina lì, però meglio non avvicinarsi troppo potrebbe essere rischioso, meglio tagliare per i campi, le dice il compagno di viaggio, c'è un esercito in capitale e l'ordine che ha è di uccidere chiunque si avvicini troppo. Le ricorda che non hanno avuto il permesso di passare dalla dogana.

Per Al'o'win... a che servirà poi sta mania d'accoppare tutti i viaggiatori col rischio che forse ogni tanto c'è qualcun di pericoloso... Io a sti governanti non li capirò mai, non ci son guerre, c'hanno i gendarmi, che temeranno ancora...

Lon ma non passa nessuno qui eh? Perché quasi quasi mi ci fermerei un giorno di più a veder se qualche passante ha voglia di donarci qualcosa...


Infila le mani in tasca e ne cava briciole di pane e un po'di mais, non basta per sfamarla né oggi né domani.

Lon hai visto che bella quela fèmina bionda che m'ha chiamato dama di compagnia?

Dalla faccia di Lon si capisce chiaramente cosa ne pensi di Ilsebill come dama di compagnia, anche se non lo dice, si limita a turarsi il naso.
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Manntje, Manntje, Timpe Te,
Buttje, Buttje in der See,
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Leenie
Liturgia della ore – parte V
Sesta


Suor Gertrude fece il suo ingresso con un vassoio stracolmo. A Liriel sembrava che la colazione fosse passata da pochi minuti e che essa ancora lottasse con in suo apparato digerente. Guardò la scodella colma di minestra di verdure e carne, le fette di pane morbido spalmate con una generosa dose di burro e la fetta di crostata.

Il dottore ha dato disposizioni che controlli che mangiate tutto.

La donnetta grassoccia accomodò con insospettabile grazia il proprio culone sulla sedia e non si mosse finché Liriel non ebbe finito l’ultima briciola di crostata. Si sentiva esposta ad una punizione come i condannati alla gogna. Sbattendo tra loro le stoviglie con soddisfazione, la sua carnefice finalmente la lasciò da sola.

E per la prima volta da quando aveva saputo di star male Liriel si lasciò prendere dallo sconforto. Non tanto per la paura di morire, quanto per lo stato di abbandono e solitudine in cui versava.
Sola e malata in un luogo ostile, o almeno tale lo percepiva.

Nessun amico a darle conforto, nessuna famiglia a cui rivolgersi, suo marito disperso chissà dove. In breve, nessuno che si prendesse cura di lei.
La vita era ingiusta, come sempre.
E tuttavia la sorprendeva per come le ingiustizie potessero essere sempre nuove e sempre in grado di farla soffrire nuovamente.

Quando si addormentò, il bordo del lenzuolo era zuppo di acqua salata.
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